Paradiso

La Divina Commedia

Piccarda Donati 

Figlia di Simone e sorella di Corso (cfr. Pg. xxiv, vv. 82-87) e di Forese (cfr. Pg. xxiii, vv. 47 sgg. e xxiv, vv. 1-99), di Piccarda Donati sappiamo solamente che, fattasi suora nel convento delle clarisse di Monticelli nei dintorni di Firenze, fu rapita dal chiostro per volere di Corso, che la diede in moglie al compagno di partito Rossellino della Tosa. Nulla si conosce delle vicende successive di Piccarda, che pare, però, non sia sopravvissuta a lungo alla violenza subita. Anzi, la leggenda si è impossessata a titolo esemplare della sua figura e della sua storia, immaginando che Dio l’abbia sottratta al vituperio con un’improvvisa infermità (lebbra?). Lo stesso Pietro di Dante annota: «Si dice tuttavia che sia morta vergine, non toccata dal suddetto marito, essendo sopravvenuta una febbre mortale nel giorno stesso delle nozze». Ma l’espressione dantesca di Paradiso III, 108 – Iddio si sa qual poi mia vita fusi – pare escludere una soluzione di questo tipo, anche perché Dante parlerà espressamente nel canto iv di voti non compiuti.

La sua funzione nella Commedia
A Piccarda è affidata da Dante la funzione di chiarire un importante tema dottrinale: come i diversi gradi di beatitudine di cui godono le anime del Paradiso possano accordarsi con la felicità perfetta. Piccarda spiega a Dante che la beatitudine celeste consiste nell’aderire totalmente alla volontà di Dio, desiderando solo quello che si ha.
La figura di quest’anima beata ha inoltre la funzione di richiamare, anche in questa cantica, il tema autobiografico, e in particolare di riportare l’attenzione sulla Firenze di Dante.

Costanza d’Altavilla

Figlia di Ruggiero II di Sicilia, Costanza d’Altavilla (1154-1198) fu sposa di Arrigo VI di Svevia (il secondo vento di Soave, in quanto il primo fu Federico Barbarossa, padre di Arrigo) e madre di Federico II (il terzo vento).
Intorno alla sua figura, data anche l’importanza storico-politica da essa assunta, vennero intessute leggende, volte soprattutto a denigrare il partito imperiale, come quella della sottrazione al chiostro e del matrimonio forzato (avrebbe avuto oltre cinquant’anni, il che è storicamente e cronologicamente falso: il matrimonio avvenne nel 1186) con Arrigo VI. Pur accogliendo in parte tali notizie, Dante ribadisce nel canto iii del Paradiso la “grandezza” di Costanza, dopo averla anticipata nelle parole di Manfredi (Pg. iii, 113), che aveva definito se stesso nepote di Costanza imperadrice

La sua funzione nella Commedia
Costanza d’Altavilla, come Piccarda Donati, è esempio di un’anima venuta meno ai voti religiosi a causa della violenza subita. Pur non intervenendo nel dialogo con Dante, Costanza completa e fa da controcanto alla figura di Piccarda, contribuendo all’atmosfera nobile e “cortese” del cielo della Luna.

Giustiniano 

Nato nei pressi della città di Scupi (Skopje) in Macedonia intorno al 482, fece la carriera pubblica sotto l’imperatore Giustino, suo zio, che lo adottò e lo associò al trono il 1° maggio 527. Lungo fu il regno di Giustiniano (morì nel 565) e della sua opera Dante ricorda le tre direttive fondamentali: l’attività di ordinamento giuridico, quella religiosa e quella militare. Per quanto riguarda la prima, Giustiniano provvide a dare una sistemazione alle miriadi di leggi nelle quali era sempre più difficile orientarsi, fissando così non solo per il suo tempo e per l’Impero, ma anche per il futuro e per tutti i popoli civili, un fondamento giuridico di straordinaria e duratura importanza, per certi aspetti tuttora efficace come punto di riferimento. Per far questo egli istituì nel 527 un collegio di dieci giuristi presieduto da Triboniano e l’opera non fu del tutto compiuta che nel 565, l’anno stesso della morte dell’imperatore. Intervenne nelle controversie religiose e, pare su pressione della moglie Teodora, fu propenso al monofisismo; convocò anche il Concilio di Costantinopoli nel 553, che ribadì però le decisioni dei concili precedenti in materia di ortodossia ed eresia. Per quanto riguarda le imprese militari, Giustiniano provvide a ristabilire l’autorità imperiale in Africa (con la cacciata dei Vandali), in Spagna (con la sottomissione dei Visigoti) e soprattutto in Italia, con la lunga ma alla fine vittoriosa guerra gotica, che vide più volte caduto in disgrazia e riabilitato il generale Belisario. 

La sua funzione nella Commedia

Ai tempi di Dante la figura di Giustiniano era conosciuta in modo parziale e travisato, e nella tradizione che vedeva in lui un modello finivano occultate molte delle vicende assai meno edificanti di cui fu protagonista, come pure aspetti meschini del suo carattere. A Giustiniano Dante affida la celebrazione dell’Impero romano come strumento provvidenziale dell’organizzazione politica della cristianità.

La sua presenza 
Giustiniano fa la sua apparizione nel canto v del Paradiso (v. 115sgg.), in cui però non è ancora svelata la sua identità. Il suo discorso occupa poi l’intero canto vi, caso unico nel poema. Una delle fonti di Dante fu certamente il Tresor di Brunetto Latini (i, 87), dal quale Dante ricava quasi alla lettera l’elogio di cui al v. 12 del canto vi.

Romeo di Villanova 

Personaggio storico, nato intorno al 1170 e morto in Provenza nel 1250, fu ministro e gran siniscalco dell’ultimo conte di Provenza, Raimondo Beringhieri (o Berengario) IV, al quale recuperò la città di Nizza e il cui “capolavoro” politico, secondo Dante, furono i matrimoni che egli seppe assicurare alle quattro figlie del suo signore. In particolare, è da ricordare il matrimonio contratto, dopo la morte del conte, dalla figlia Beatrice che, andando sposa a Carlo d’Angiò, gli portò la gran dota provenzale (Pg. xx, 61).
Quella delle sue origini sociali umili, del suo esilio e della vecchiaia vissuta in abbandono e povertà è leggenda formatasi in Provenza, che doveva essere diffusa, se i primi commentatori e lo stesso Villani nella Cronaca l’avvallano come veritiera. 

La sua funzione nella Commedia
Nella figura del pellegrino Romeo, servo fedele – ma anche oculato e diplomatico – del suo signore, condannato poi dall’invidia altrui ad andare mendicando per strade straniere, è evidente il riferimento autobiografico (e autocelebrativo) di Dante: anche lui si era dedicato con amore e disinteresse alla vita politica della sua Firenze, e si era poi trovato calunniato e condannato all’esilio.

Carlo Martello 

Figlio di Carlo II d’Angiò e di Maria d’Ungheria, nacque nel 1271, e sposò a sedici anni Clemenza d’Asburgo, figlia dell’imperatore Rodolfo I; quando il padre fu fatto prigioniero dagli Aragonesi nel giugno 1284, il nonno Carlo I lo nominò erede al trono con gli stessi diritti del padre prigioniero. Nel 1290, in seguito alla morte del re Ladislao IV d’Ungheria, divenne pretendente al trono per eredità, ma contrastato fu il riconoscimento della sua sovranità. Morì nell’agosto del 1295, colpito da epidemia insieme con la moglie, che lo seguì poco dopo. 
L’incontro e l’amicizia cui allude Dante risalgono al soggiorno di una ventina di giorni a Firenze nel marzo del 1294, accolto dai Fiorentini con grande entusiasmo e magnificenza, come ricorda il Villani nella sua Cronaca (viii, 13). Per Dante dovette trattarsi di un incontro che andò al di là delle convenienze politiche e diplomatiche, per consolidarsi in una autentica affinità di sentimenti e di gusti, se Carlo lo saluta nel canto viii del Paradiso con il riferimento a una canzone, forse composta pressappoco in quel periodo e quindi «di moda» in Firenze. Un incontro di cui il tempo ha permesso a Dante di risentire tutta l’importanza personale, ma dandogli anche il rimpianto, di fronte agli avvenimenti successivi, per la perdita di una personalità di eccezione, che molto avrebbe potuto operare per la giustizia e a favore dello stesso Dante.

La sua funzione nella Commedia
Nel colloquio di Dante con Carlo Martello sono presenti due motivi principali di interesse: quello dottrinario, sulle influenze celesti e l’indole umana, e quello sentimentale e autobiografico, sul rapporto di cortese amicizia fra i due protagonisti. I due temi si arricchiscono di valore concettuale e poetico proprio perché si intrecciano nella stessa dinamica psicologia del loro incontro. 

La sua presenza
Carlo Martello, protagonista del canto viii del Paradiso, è ancora presente all’inizio del canto successivo: si congeda infatti da Dante nel canto ix, dopo aver pronunciato un’oscura profezia contro gli empi governanti. 

Cunizza da Romano

Figlia di Ezzelino II e sorella dell’efferato tiranno Ezzelino III da Romano (la facella che fece a la contrada un grande assalto, di Pd. ix, 29-30).
Nata alla fine del secolo xii, andò in sposa al conte Rizzardo di San Bonifacio di Verona, in un matrimonio diplomatico che avrebbe dovuto garantire il miglioramento di rapporti tra famiglie rivali. In realtà, se patteggiamento vi fu, i suoi effetti non durarono a lungo, tanto che i fratelli si servirono del trovatore Sordello da Goito (cfr. Pg. vi e vii), che era alla corte del conte Rizzardo, per rapirla e riportarla presso di loro. Ben poco altro si sa di lei, se non quanto riferiscono le leggende, spesso oltraggiose, che la vogliono dedita a facili amori.
È pensabile che a Dante giovanetto sia giunta la fama di questa donna dalla vita avventurosa, dedita negli anni tardi a opere di bene o, comunque, convertita a vita morigerata e religiosa. L’accondiscendenza alla passione carnale si converte in Cunizza in tensione di carità e in pietà religiosa

La sua funzione nella Commedia
La vicenda di Cunizza da Romano è per Dante esemplare delle possibilità che l’uomo ha di usare per il bene o per il male l’influenza di Venere, dandole effetto di carità o di folle amore (Pd. viii, 2). All’anima di Cunizza Dante affida inoltre una violenta invettiva contro la corruzione degli abitanti della Marca Trevigiana e la profezia delle imminenti e sanguinose sciagure che colpiranno Padova, Treviso e Feltre.

Folchetto da Marsiglia

Trovatore provenzale nato a Marsiglia da una famiglia di origine genovese, fu alla corte di grandi signori (tra i quali Riccardo Cuor di Leone, Raimondo di Tolosa, Alfonso VIII di Castiglia), guadagnandosi fama di grande amatore oltre che di poeta; delle diciannove poesie a lui sicuramente attribuite, quattordici sono appunto di tema amoroso. Verso la fine del secolo xii abbandonò l’attività poetica e la vita mondana e si diede a vita religiosa nell’ordine cistercense; fu abate di Thoronet e dal 1205 vescovo di Tolosa, al centro della regione in cui vigorosa si era diffusa l’eresia albigese. Folchetto (o Folco) fu tra i più accaniti fattori della crociata contro gli eretici e, a differenza di s. Domenico, che si tenne fuori dalla lotta cruenta, fu in prima fila nella repressione, meritandosi fama di spietato persecutore. Morì nel Natale del 1231.

La sua funzione nella Commedia
Lo spirito di Folchetto da Marsiglia, che si trova tra gli spiriti amanti del cielo di Venere, spiega come in Paradiso la felicità sia perfetta, essendo le colpe terrene ormai private di ogni amarezza e rimorso, e come in cielo si contempli e si comprenda perfettamente il provvidenziale disegno divino della creazione. Folchetto denuncia, inoltre, la vergognosa indifferenza del papato e dei cardinali per gli interessi della cristianità e il loro esclusivo interesse per il denaro e annuncia la prossima liberazione di Roma, per intervento divino, dal papato adultero e traditore della Chiesa.

Raab

Fa parte della schiera degli spiriti amanti, in quanto, analogamente a Cunizza e a Folchetto, nella prima parte della sua vita cedette alla passione carnale al punto da diventare meretrice nella città di Gerico, ma poi rivolse il suo amore al vero Dio, aiutando Giosuè a conquistare Gerico e facilitando così la conquista della Terrasanta da parte del popolo di Dio. Si legge infatti nel libro di Giosuè (1, 2-1) che Raab nascose nella sua casa e mise poi in salvo gli esploratori inviati da Giosuè e per questo ella, e quanti si rifugiarono nella sua casa, vennero risparmiati nell’eccidio dopo la conquista della città.

La sua funzione nella Commedia
La figura di Raab è occasione per una violenta invettiva contro la Chiesa e i suoi ministri, colpevoli di trascurare i loro doveri per gretta bramosia di ricchezza, che viene pronunciata da Folchetto da Marsiglia.

Tommaso d’Aquino

Nasce a Roccasecca nel 1225 dai conti d’Aquino. Le tappe della sua vita (la vocazione religiosa fu dapprima fieramente avversata dalla famiglia) sono segnate dall’ingresso nell’ordine di san Domenico, dall’apprendistato a Parigi e Colonia (dove ebbe come maestro Alberto Magno), dal suo insegnamento prima a Parigi, poi dal 1261 al 1268 a Roma, e a Napoli dal 1272, pronto sempre con estremo vigore intellettuale a combattere ogni seme di eresia, ma anche strenuo difensore delle proprie convinzioni filosofiche, specie del proprio aristotelismo contro le accuse dei teologi agostiniani. Nel 1274 Gregorio X lo volle con sé al Concilio di Lione, ma Tommaso morì in viaggio, non ancora cinquantenne, a Fossanova, in seguito a una malattia che fece parlare di avvelenamento per opera di Carlo I d’Angiò, voce destituita di fondamento ma che Dante accredita (cfr. Pg. xx, 69).
Unanimemente considerato il più grande teologo e filosofo del Medioevo, ha lasciato una grande quantità di opere, tra cui spiccano la Summa contra Gentiles e la monumentale Summa theologiae rimasta incompiuta. 

La sua funzione nella Commedia
Profonda e decisiva sotto molti aspetti fu l’influenza esercitata su Dante dal pensiero tomistico, anche se non lineare, diretta ed esente da correzioni o contrasti. 
In questo canto, Dante affida a san Tommaso il compito di sciogliere alcuni dubbi dottrinali, e soprattutto di pronunciare il panegirico di san Francesco, spunto per l’aspra condanna della corruzione di molti frati dell’ordine domenicano, a cui Tommaso appartiene.

La sua presenza 
San Tommaso fa la sua comparsa nel canto x del Paradiso, dove forma, insieme ad altre undici anime, la corona degli spiriti sapienti, che fanno cerchio intorno a Dante e Beatrice. 
Accompagna Dante in tutta la sua permanenza nel cielo del Sole, sciogliendo altri dubbi del poeta, espressi soprattutto nel canto xiii. Scompare poi nel canto xiv, quando Dante ascende al quinto cielo, quello di Marte. 

San Bonaventura 

Nato a Bagnoregio intorno al 1221, Bonaventura entrò nell’ordine francescano probabilmente nel 1243. Studiò e successivamente insegnò alla facoltà di teologia a Parigi, ma lasciò l’insegnamento nel 1257, quando venne eletto alla guida dell’ordine, nel quale la corrente più intransigente degli spiritualisti, che reclamava l’assoluta fedeltà alla lettera della regola dettata da san Francesco, era entrata in conflitto con quella che propendeva per un’interpretazione che tenesse conto delle mutate condizioni dell’ordine, dei più ampi e diversi compiti a cui era chiamato anche nel campo degli studi e della dottrina. Bonaventura tenne una condotta di mediazione. La più importante delle sue opere in campo dottrinario è il commento alle Sententiae di Marco Lombardo (Commentarium in quattuor libros Sententiarum), ma lo scritto più celebre è certo l’Itinerarium mentis in Deum, uno dei capolavori della mistica medievale. 

Bonaventura (soprannominato Doctor Seraphicus) è il massimo rappresentante della corrente mistica della teologia medievale che si ispira al neoplatonismo e a sant’Agostino, nell’affermazione della superiorità della fede sulla ragione, non perché la prima sia in contrasto con la seconda, ma perché il suo ambito è infinitamente più grande e le sue certezze meno precarie e astratte. Nominato nel 1273 vescovo di Albano e cardinale, morì durante il concilio di Lione l’anno successivo.

La sua funzione nella Commedia
San Bonaventura svolge in questo canto una funzione analoga e simmetrica a quella che san Tommaso ha rivestito nel canto precedente: pronunciare il panegirico di san Domenico e, nel contempo, condannare la corruzione di una parte dell’ordine francescano, a cui appartiene.

Salomone

Figlio di Davide e Betsabea, secondo la Bibbia è stato il terzo re d’Israele. Il suo regno è datato circa dal 970 al 930 a.C.
Nel I libro dei Re si dice che, interrogato in sogno da Dio, che gli disse di chiedergli qualunque cosa volesse, domandò per sé non una vita lunga, né ricchezze, né successo politico, ma il dono della saggezza. Da qui la fama di re saggio.

La sua funzione nella Commedia
All’anima di Salomone Dante affida il compito di spiegare la condizione dei beati dopo il Giudizio universale, e quindi dopo la resurrezione dei corpi, tema oggetto di un interesse particolare e ricorrente del poeta.

Cacciaguida 

A parte un documento del 1189 che ne attesta la morte avvenuta anni prima, di Cacciaguida conosciamo solo quanto ci dice di lui Dante nei canti xv-xviii del Paradiso. Fiorentino, sarebbe nato alla fine dell’xi secolo; nel 1091 sposò una donna appartenente alla famiglia degli Aldighieri, forse di Ferrara o forse di Padova, e avrebbe partecipato alla seconda crociata insieme a Corrado III di Svevia, trovandovi la morte intorno al 1148. Da lui nacque Alighiero I, da questi Bellincione, che fu padre di Alighiero II, padre di Dante.

La sua funzione nella Commedia
Cacciaguida ha una funzione fondamentale nell’opera: attestare il significato provvidenziale del viaggio di Dante. Non a caso la sua figura viene collocata al centro della cantica del Paradiso
L’illustre avo ha inoltre il compito di rievocare la Firenze antica, ideale di vita civile, in contrasto con la Firenze corrotta dei tempi di Dante.

La sua presenza 
Cacciaguida è presente nei canti xv, xvi e xvii del Paradiso, noti appunto come “i canti di Cacciaguida”, che costituiscono un unico nucleo narrativo. Sarà ancora presente ai primi 51 versi del canto xviii, per riprendere infine il suo posto nella croce degli spiriti combattenti per la fede.

David

Re d’Israele dal 1030 al 970 a.C., è autore dei celeberrimi Salmi biblici, canti ispirati dall’amore e dalla carità divina.
David fece portare l’Arca dell’Alleanza, simbolo della promessa salvifica di Dio al popolo eletto, da Gabason a Geth e infine a Gerusalemme, unendo in questo modo le antiche tradizioni ebraiche all’epoca nuova.

La sua funzione nella Commedia
Nel Paradiso dantesco, David è rappresentato come il primo e sommo degli spiriti giusti; infatti costituisce la pupilla, la parte più importante dell’occhio dell’Aquila della giustizia.

Ezechia

Fu re di Giuda dal 716 al 687; si narra nella Bibbia (2 Re 20,1-11 e Isaia 38,1-22) che, all’annuncio fattogli da Isaia della sua imminente morte, egli pianse tanto e implorò tanto Dio che gli fu concesso di vivere ancora quindici anni. Il ritratto della sua giustizia e grandezza di re è in 2 Re 18, 1-5.

 

La sua funzione nella Commedia
Ezechia è posto da Dante tra i sommi giusti, che compongono il sopracciglio dell’Aquila della giustizia. 

Rifeo

Eroe troiano, compagno di Enea, è citato da Virgilio nell’Eneide, che pur dedicandogli pochi versi, lo definisce il più giusto fra i Teucri e il più osservante dell’equità.
Dante lo presenta come esempio di un uomo che, pur vivendo in una realtà tutta pagana e pur non avendo avuto esplicite rivelazioni, ebbe da Dio il dono di una fede implicita che indirizzò alla giustizia tutti i suoi atti e pensieri e che, rafforzandosi, giunse a fargli credere nella futura redenzione.

La sua funzione nella Commedia
Con la figura di Rifeo, uno degli spiriti giusti che compongono l’occhio dell’Aquila della giustizia, Dante vuole dimostrare come Dio possa operare la sua redenzione anche sulle giuste anime dei pagani.

Traiano

Imperatore romano (53-117), nato nel sud della Spagna da genitori italici, fu conosciuto dai contemporanei come Optimus princeps, cioè il migliore tra gli imperatori romani. 
Nel Medioevo, e fino ai tempi di Dante, era accreditata la leggenda secondo la quale il papa Gregorio Magno, affascinato dalle virtù umane di Traiano e dal suo spirito di giustizia, rivolse ardente preghiera a Dio perché una così grande anima non fosse dannata. Grazie a questa intercessione, a Traiano fu concesso da Dio di tornare in vita il tempo di essere battezzato, per poi morire una seconda volta, ma ormai cristiano.

La sua funzione nella Commedia
Traiano è uno degli spiriti giusti che compongono l’occhio dell’Aquila della giustizia. Con la sua figura, che si affianca a quella di Rifeo, Dante vuole dimostrare come Dio operi in modo insondabile per le menti umane, predestinando alla salvezza anche anime pagane, che per la loro virtù hanno trovato grazia speciale in Dio.

Costantino

Imperatore romano (274-337), fu un importante riformatore dell’Impero, noto per aver trasferito la capitale da Roma a Costantinopoli. Sotto il suo regno si diffuse il cristianesimo, grazie anche alla promulgazione dell’Editto di Milano, con cui si riconosceva la libertà religiosa.

La sua funzione nella Commedia

Dante, come tutta la cultura medievale, attribuisce a Costantino l’atto di donazione di terre in Occidente alla Chiesa (in realtà mai avvenuta), fatto che avrebbe dato inizio al potere temporale dei papi, causa per il poeta della corruzione della Chiesa.
Nel canto xx del Paradiso, Dante precisa tuttavia che l’atto di Costantino era stato fatto a fin di bene; la responsabilità del male che ne derivò non compromette perciò l’eterna beatitudine di questo imperatore, che è posto da Dante tra i sommi giusti

Guglielmo d’Altavilla

Guglielmo II d’Altavilla (1153-1189), detto il Buono, fu l’ultimo re normanno di Sicilia e di Napoli, figlio di Guglielmo I il Malo e di Margherita di Navarra e nipote del grande Ruggero II. Nato a Palermo, regnò dal 1166 alla morte. Tutti i commenti e le cronache del tempo ne tracciano un ritratto edificante e virtuoso. 

Nella Chronica di Ryccardus de Sancto Germano, viene così descritto: «Nel tempo, in cui quel re cristianissimo, al quale nessuno fu secondo, teneva le redini di questo regno, fra tutti i principi egli era il più grande; copioso di ogni bene, era chiaro di stirpe, bello della persona, forte, avveduto, ricchissimo. Era il fiore dei re, la corona dei principi, lo specchio dei guerrieri, il decoro dei nobili, fiducia degli amici, terrore dei nemici, vita e forza del popolo, salvezza dei miseri, dei poveri, dei viandanti, fortezza dei lavoratori. Vigeva al suo tempo il culto della legge e della giustizia. Ciascuno nel regno era pago della sua sorte. Per ogni dove era pace e sicurezza; il viandante non temeva le insidie dei masnadieri, né il nocchiero quelle dei pirati».

La sua funzione nella Commedia
La figura esemplare di Guglielmo d’Altavilla viene contrapposta da Dante a quella di Carlo e Federigo, i due re contemporanei che Dante inserisce tra gli esempi più scandalosi di corruzione signorile (Pd. xix, 127-132).

Pier Damiani

Nato a Ravenna nel 1007, fu eletto priore dal 1043 del monastero di Santa Croce di Fonte Avellana sul monte Catria. Nel 1057 venne nominato cardinale e vescovo di Ostia. Operò attivamente tanto per la composizione dello scisma papale fra Benedetto X e Niccolò II, quanto per la moralizzazione della vita ecclesiale, sia con l’azione diretta, sia con numerosi scritti dottrinali e penitenziali. Negli ultimi anni, dopo molte richieste al papa, ottenne di poter tornare alla vita monacale nell’eremo di Fonte Avellana; morì nel monastero di Santa Maria degli Angeli a Faenza, il 22 febbraio 1072, mentre stava per rientrare al suo convento.

La sua funzione nella Commedia
Dante sceglie Pier Damiani a rappresentare gli spiriti contemplativi del cielo di Saturno e a condannare la corruzione ecclesiastica, poiché egli impersona il suo ideale di uomo religioso: il santo, infatti, unisce alla vita mistica un’attiva partecipazione alle vicende politiche.

San Benedetto

Nacque a Norcia, in Umbria, da nobile famiglia nel 480. Recatosi a Roma per gli studi, e qui colpito dalla scandalosa corruzione degli ecclesiastici, condusse poi per molti anni vita di eremita in una grotta presso Subiaco. Molti discepoli si raccolsero intorno a lui, e con essi fondò vari monasteri ispirati alla sua rigida regola solitamente riassunta nel motto Ora et labora. Dopo aspri contrasti all’interno del suo ordine e dopo un nuovo periodo di vita eremitica, si recò a Montecassino, dove distrusse il tempio di Apollo che ancora vi esisteva e fondò varie chiese e monasteri, formano il complesso monastico più importante di allora e sede centrale dell’ordine da lui fondato.

Morì a Montecassino nel 543; la sua opera ebbe enorme influenza spirituale e sociale sulla storia di tutto il Medioevo. Le notizie che Dante riporta sono esplicitamente tratte dalla biografia del santo compilata da Gregorio Magno.

La sua funzione nella Commedia

La figura di san Benedetto è la più rappresentativa della schiera di spiriti contemplanti, in quanto fondatore del monachesimo occidentale. 
Della sua biografia Dante ricorda un unico episodio, ma sufficiente a identificarlo: la conversione delle genti pagane che vivevano nelle valli del monte Cassino, con la conseguente fondazione dell’omonimo convento. San Benedetto segna così storicamente il passaggio in Italia dall’età pagana a quella cristiana nel tramonto dell’Impero romano.

San Pietro

Capo dei dodici apostoli scelti da Gesù per farne i continuatori della sua opera, si chiamava Simone ed era un pescatore. Fu la prima persona a credere che Gesù fosse figlio di Dio, e fu Gesù a chiamarlo Pietro e a farne il primo e più autorevole fra i suoi discepoli. Illuminato da una fede profonda, è artefice dell’organizzazione della comunità cristiana a Gerusalemme, dove inizia la sua predicazione con i primi miracoli. Comincia quindi l’opera di evangelizzazione ad Antiochia. Venne poi a Roma, dove costituì le prime comunità cristiane divenendo il primo vescovo (da cui poi la tradizione che lo vuole primo papa della cristianità), fino al martirio durante le persecuzioni di Nerone (tra il 64 e il 67): per sua volontà venne crocifisso a capo in giù, per non essere paragonato a Gesù.

La sua funzione nella Commedia
San Pietro è il primo degli esaminatori di Dante (a lui faranno seguito nei due canti successivi san Giacomo e san Giovanni). Al primo papa della cristianità è affidato il compito di interrogare Dante sulla fede, non tanto per saggiare l’autenticità e la fondatezza della fede di Dante, poiché san Pietro, come tutte le anime beate, può leggere la verità in Dio, quanto per permettere al poeta di rendere testimonianza e gloria alla virtù teologale della fede con le sue parole.

La sua presenza
Pietro, pur essendo nominato più volte nella Commedia (a cominciare da Inferno i, 134) fa la sua comparsa nel canto xxiv del Paradiso, nel cielo delle Stelle Fisse. Sarà ancora protagonista della prima parte del canto xxvii, in cui pronuncerà una violenta invettiva contro la corruzione papale, scagliandosi in particolare contro Bonifacio VIII, e ascenderà poi all’Empireo, scomparendo alla vista di Dante. Dante lo rivedrà nella rosa dei beati, nel canto xxxii del Paradiso

San Giacomo

Si tratta di san Giacomo Maggiore, uno degli apostoli prediletti di Gesù (da non confondersi con l’apostolo Giacomo Minore). Secondo gli Atti degli Apostoli, fu martirizzato a Gerusalemme nel 62 d.C.
Si riteneva che il suo corpo fosse seppellito a San Giacomo di Compostella, nella regione spagnola della Galizia, località pertanto divenuta la più importante meta di pellegrinaggi dopo Roma.

La sua funzione nella Commedia
Nella esegesi medievale san Giacomo è simbolo della Speranza. Per questo Dante gli affida il ruolo di suo esaminatore proprio in relazione a questa virtù.

San Giovanni

Apostolo prediletto di Cristo e fratello di san Giacomo, fu autore del quarto Vangelo e dell’Apocalisse, testo particolarmente caro a Dante, nel quale furono profeticamente annunciati i tempi difficili e corrotti che la Chiesa avrebbe passato. Per presentarlo Beatrice, nel canto xxv del Paradiso, cita due immagini evangeliche: quando durante l’Ultima cena egli si appoggia al petto di Cristo (Gv. 13,23) e quando Cristo in agonia sulla croce gli affida il compito di sostituirlo come figlio a sostegno della Madonna (Gv. 19,26-27).

La sua funzione nella Commedia
Nella esegesi medievale san Giovanni è simbolo della Carità. Per questo Dante gli affida il ruolo di suo esaminatore proprio in relazione a questa virtù.

Adamo

Progenitore del genere umano, prima anima creata da Dio, è la quarta luce che si affianca agli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni nel canto xxvi del Paradiso.

La sua funzione nella Commedia
Può sembrare strano che Dante collochi il padre del genere umano in Paradiso, considerando che proprio il suo peccato di superbia, e cioè il peccato originale, fu all’origine delle sofferenze dell’umanità (Pd. xxxii, 122-123) e dell’esclusione dal Paradiso terrestre. Adamo è però considerato come il frutto della redenzione, il novello Adamo rinnovato dal sacrificio di Cristo. Per questo nel canto xxxii del Paradiso si trova nella “rosa dei beati”, assiso alla sinistra della vergine Maria, “progenitore” di tutti i beati venuti prima di Cristo.

Inoltre quest’anima offre l’occasione per introdurre alcune questioni care a Dante: la natura del peccato originale, il tempo della nascita di Adamo e la durata della permanenza dell’Eden, la questione della lingua usata nel Paradiso terrestre.

La vergine Maria

È la madre di Cristo, la luce più splendente del Paradiso «perch’ella ebbe maggior grazia e più fu piena di carità che alcuna altra creatura» (Buti). La Madonna è l’unica a trovarsi in Paradiso anche con il corpo.

La particolare venerazione di Dante per la Madonna è presente in tutte le sue opere, e testimoniata in molti passi della Divina Commedia. Dice il Benvenuto: «poiché invocava il nome della beata Vergine la sera quando andava a dormire, e la mattina quando s’alzava dal letto, come dovrebbe fare ogni fedele cristiano».

La sua funzione nella Commedia
Dante dà testimonianza del suo culto per la vergine Maria soprattutto nel canto xxiii del Paradiso, con la figura della rosa e la celebrazione del trionfo di Maria, e nel canto xxxiii, 1-39, con la preghiera alla Vergine pronunciata da san Bernardo, da cui emerge il suo ruolo di santo e caritatevole tramite fra l’uomo e Dio.

San Bernardo 

Nato in Borgogna nel 1091, entrò nel 1112 nel monastero benedettino di Citaux. Tre anni dopo fondò un nuovo monastero a Clairvaux (da cui il suo appellativo) e alla sua morte ben 68 saranno i monasteri da lui fondati. 
Pochi santi seppero accomunare come Bernardo due qualità considerate antitetiche: l’azione e il misticismo. Indefessa fu la sua opera di intervento in tutte le questioni della Chiesa in appoggio a papi e vescovi, nella lotta contro le eresie, nella formazione dell’ordine dei Templari, nella predicazione della seconda crociata (1146), e divenne figura davvero centrale nella storia politica e religiosa d’Europa. Tanto fervore di iniziative si univa in lui con un assoluto distacco dai valori mondani, con uno slancio ascetico di straordinaria forza. Fu chiamato doctor mellifluus, a indicare la dolcezza che «fluiva come miele» dalle sue parole. 

Tra le sue opere ricordiamo il De Gratia et libero arbitrio e il De consideratione, sulla dignità del pontefice (citato da Dante nell’Epistola a Cangrande della Scala). Morì nel 1153 e fu canonizzato dal papa Alessandro III nel 1174.

La sua funzione nella Commedia
San Bernardo è l’ultima guida di Dante, prescelto a farsi tramite della sublime visione di Dio proprio perché sommo maestro della mistica medievale. Bernardo, che si presenta come un anziano (sene, Pd. xxxi, v. 59), ha nei confronti di Dante un atteggiamento di amorevole protezione, tanto che il poeta si rivolgerà a lui definendolo tenero padre (Pd. xxxi, v. 63) e santo padre (Pd. xxxii, v. 100).

La sua presenza 
San Bernardo subentra a Beatrice come guida di Dante nel canto xxxi del Paradiso, nell’Empireo, e accompagnerà il poeta fino alla sublime visione di Dio, con cui si conclude la Commedia.

Adamo

Progenitore del genere umano, prima anima creata da Dio, è la quarta luce che si affianca agli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni nel canto xxvi del Paradiso.

La sua funzione nella Commedia
Può sembrare strano che Dante collochi il padre del genere umano in Paradiso, considerando che proprio il suo peccato di superbia, e cioè il peccato originale, fu all’origine delle sofferenze dell’umanità (Pd. xxxii, 122-123) e dell’esclusione dal Paradiso terrestre. Adamo è però considerato come il frutto della redenzione, il novello Adamo rinnovato dal sacrificio di Cristo. Per questo nel canto xxxii del Paradiso si trova nella “rosa dei beati”, assiso alla sinistra della vergine Maria, “progenitore” di tutti i beati venuti prima di Cristo.

Inoltre quest’anima offre l’occasione per introdurre alcune questioni care a Dante: la natura del peccato originale, il tempo della nascita di Adamo e la durata della permanenza dell’Eden, la questione della lingua usata nel Paradiso terrestre.

La vergine Maria

È la madre di Cristo, la luce più splendente del Paradiso «perch’ella ebbe maggior grazia e più fu piena di carità che alcuna altra creatura» (Buti). La Madonna è l’unica a trovarsi in Paradiso anche con il corpo.

La particolare venerazione di Dante per la Madonna è presente in tutte le sue opere, e testimoniata in molti passi della Divina Commedia. Dice il Benvenuto: «poiché invocava il nome della beata Vergine la sera quando andava a dormire, e la mattina quando s’alzava dal letto, come dovrebbe fare ogni fedele cristiano».

La sua funzione nella Commedia
Dante dà testimonianza del suo culto per la vergine Maria soprattutto nel canto xxiii del Paradiso, con la figura della rosa e la celebrazione del trionfo di Maria, e nel canto xxxiii, 1-39, con la preghiera alla Vergine pronunciata da san Bernardo, da cui emerge il suo ruolo di santo e caritatevole tramite fra l’uomo e Dio.

San Pietro

Capo dei dodici apostoli scelti da Gesù per farne i continuatori della sua opera, si chiamava Simone ed era un pescatore. Fu la prima persona a credere che Gesù fosse figlio di Dio, e fu Gesù a chiamarlo Pietro e a farne il primo e più autorevole fra i suoi discepoli. Illuminato da una fede profonda, è artefice dell’organizzazione della comunità cristiana a Gerusalemme, dove inizia la sua predicazione con i primi miracoli. Comincia quindi l’opera di evangelizzazione ad Antiochia. Venne poi a Roma, dove costituì le prime comunità cristiane divenendo il primo vescovo (da cui poi la tradizione che lo vuole primo papa della cristianità), fino al martirio durante le persecuzioni di Nerone (tra il 64 e il 67): per sua volontà venne crocifisso a capo in giù, per non essere paragonato a Gesù.

La sua funzione nella Commedia
San Pietro è il primo degli esaminatori di Dante (a lui faranno seguito nei due canti successivi san Giacomo e san Giovanni). Al primo papa della cristianità è affidato il compito di interrogare Dante sulla fede, non tanto per saggiare l’autenticità e la fondatezza della fede di Dante, poiché san Pietro, come tutte le anime beate, può leggere la verità in Dio, quanto per permettere al poeta di rendere testimonianza e gloria alla virtù teologale della fede con le sue parole.

La sua presenza
Pietro, pur essendo nominato più volte nella Commedia (a cominciare da Inferno i, 134) fa la sua comparsa nel canto xxiv del Paradiso, nel cielo delle Stelle Fisse. Sarà ancora protagonista della prima parte del canto xxvii, in cui pronuncerà una violenta invettiva contro la corruzione papale, scagliandosi in particolare contro Bonifacio VIII, e ascenderà poi all’Empireo, scomparendo alla vista di Dante. Dante lo rivedrà nella rosa dei beati, nel canto xxxii del Paradiso

Sfera del Fuoco

È la zona intermedia fra l’atmosfera terrestre e la prima sfera celeste, il cielo della Luna. Si presenta di luce incandescente, come ferro che bogliente esce del foco.

Cielo Primo: Luna

L’atmosfera di questo cielo si presenta come una nube luminosa, densa, compatta e senza macchie, simile a un diamante colpito dal sole.


Intelligenze motrici: Angeli


Spiriti beati: Spiriti mancanti ai voti

Cielo Secondo: Mercurio

Si presenta come una sfera luminosa che si fa più splendente nell’accogliere Beatrice.


Intelligenze motrici: Arcangeli


Spiriti beati: Spiriti attivi per desiderio di gloria

Cielo Terzo: Venere

Si presenta come una sfera luminosa che si fa più splendente nell’accogliere Beatrice.


Intelligenze motrici: Principati


Spiriti beati: Spiriti amanti

Cielo Quarto: Sole

Si presenta come una sfera che riluce in modo particolare per l’astro che in essa ha sede, ed è costellata di splendori ancora più ardenti costituiti dalle anime beate.


Intelligenze motrici: Potestà


Spiriti beati: Spiriti sapienti

Cielo Quinto: Marte

Si presenta come un cielo che risplende di un rosso ardente e infuocato, attraversato da due raggi di luce intensissima posti a croce su cui lampeggia la figura di Cristo.


Intelligenze motrici: Virtù


Spiriti beati: Spiriti militanti

Cielo Sesto: Giove

Si presenta come un cielo più ampio e di colore bianco, quasi argentato.


Intelligenze motrici: Dominazioni


Spiriti beati: Spiriti giusti

Cielo Settimo: Saturno

Si presenta come un cristallo nel quale scende dall’alto una scala d’oro che si eleva tanto da non vederne la cima. 
In questo cielo non si ode il canto sublime dei beati, e l’atmosfera è calata in un mistico silenzio.


Intelligenze motrici: Troni


Spiriti beati: Spiriti contemplativi

Cielo Ottavo: Stelle Fisse

In questo cielo si assiste al trionfo di Cristo, che si manifesta nel tripudio luminoso dei beati disposti intorno a Cristo che li sovrasta con la luce di salvezza.


Intelligenze motrici: Cherubini 


Spiriti beati: Trionfo di Cristo, di Maria e dei Beati

Cielo Nono: Primo Mobile o Cristallino

È l’ultimo e più ampio dei nove cieli fisici, assolutamente trasparente (Cristallino). Tutte le sue parti sono perfettamente uniformi e ricche di quella virtù sublime, unica e indistinta, che qui discende direttamente da Dio per poi differenziarsi nei cieli inferiori sotto forma di influenze celesti. Immediatamente adiacente all’Empireo, dove Dio è presente nella propria essenza, il Primo Mobile per il desiderio di unirsi a Lui gira con la massima velocità, originando così il movimento di tutti gli altri cieli e quindi la vita dell’universo.


Intelligenze motrici: Serafini 


Spiriti beati: Trionfo degli Angeli

Cielo Decimo: Empireo

Si tratta di un cielo costituito di pura luce intellettuale e di amore spirituale, senza limitazioni fisiche e di spazio. Qui è Dio nella sua essenza, qui hanno effettiva sede i beati e gli angeli, questo è il vero ed eterno Paradiso. Inizialmente si presenta come un fiume di luce fra due rive di splendidi fiori, quindi si rivela definitivamente come il grande lago della grazia divina intorno al quale sono disposti in anfiteatro tutti i beati: su di loro discende la luce di Dio.

Spiriti mancati ai voti

Sono le anime sante di coloro che, per violenza subita, non portarono a termine l’impegno preso nei confronti di Dio con i voti religiosi. 
Si presentano a Dante come ombre chiare e diafane, simili a immagini riflesse da uno specchio, che conservano ancora le fattezze terrene, ma trasfigurate dalla beatitudine celeste.


Cielo della Luna

Spiriti attivi per gloria terrena

Sono le anime beate che operarono il bene per ottenere buona fama personale sulla terra. Si presentano come innumerevoli splendori che cantano e danzano ricolmi di letizia; si muovono come pesci in una peschiera.


Cielo di Mercurio

Spiriti amanti 

Sono le anime di coloro in cui eccelse la virtù dell’amore, limitata però da una passione eccessiva per i beni del corpo. Si presentano come splendori che cantano e danzano, con diversa velocità a seconda del loro grado di beatitudine.


Cielo di Venere

Spiriti sapienti

Si presentano come splendori eccezionalmente ardenti che costellano il cielo. Dodici di queste luci si dispongono a cerchio intorno a Dante e Beatrice, danzando e cantando in modo sublime. Una nuova corona di dodici beati si dispone intorno alla prima e si unisce alla danza e al canto.


Cielo del Sole

Spiriti combattenti per la fede

Sono le anime di coloro che, come i martiri e i crociati, scesero fisicamente in campo per affermare e far trionfare la fede cristiana. Si presentano come dei lumi che, compatti, formano nel cielo l’immagine di una croce e si muovono lungo i due bracci di essa. Quando si incontrano sfavillano più ardentemente, e cantano in modo così dolce e sublime che le parole risultano incomprensibili all’udito umano.


Cielo di Marte

Spiriti giusti

Si presentano come numerosi lumi di luce intensa e dorata, che volano nel cielo prima formando le lettere di una frase biblica sulla giustizia, quindi una M gotica, infine la testa di un’aquila.


Cielo di Giove

Spiriti contemplativi

Sono le anime sante di coloro che dedicarono la vita alla meditazione e al raccoglimento in Dio. 
Si presentano come splendori intensi che discendono insieme lungo la scala; giunti a un certo gradino, gli spiriti tutti si sciolgono in un volo sfavillante, poi alcuni ritornano verso l’alto, altri si fermano nuovamente sulla scala.


Cielo di Saturno

Spiriti trionfanti

Le schiere dei beati si presentano come migliaia di lucerne illuminate intensamente dalla luce che dall’alto scende su di loro direttamente da Gesù Cristo. Essi celebrano il trionfo della Vergine invocandola e cantandone le lodi, e la cima della loro fiamma si protende verso l’alto come per seguirla quando essa si eleva a raggiungere Cristo.

Si uniscono a formare dei cerchi che danzano e girano intorno al loro centro, con velocità diverse a seconda del grado di beatitudine.


Cielo delle stelle fisse

Cori Angelici

Le nove gerarchie di angeli si presentano come nove cerchi di fuoco concentrici che ruotano, con diversa velocità e ardore, intorno a un punto centrale di luce intensissima, in cui è rappresentato Dio. I nove ordini angelici sono, dal più esterno: Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini, Serafini.


Primo Mobile o Cristallino

La rosa dei Beati

Sono tutte le anime dei santi, disposte sui diversi gradini dell’anfiteatro celeste, la «rosa dei beati»: dall’alto, cioè da Dio, discendono continuamente tutti gli angeli che depositano su di loro la sublime felicità della grazia divina, per poi risalire verso Dio.

PRIMO MOBILE O CRISTALLINO Serafini PRIMO MOBILE O CRISTALLINO Serafini CIELO DELLE STELLE FISSE Cherubini CIELO DELLE STELLE FISSE Cherubini CIELO DI SATURNO Troni CIELO DI SATURNO Troni CIELO DI GIOVE Dominazioni CIELO DI GIOVE Dominazioni CIELO DI MARTE Virtù CIELO DI MARTE Virtù CIELO DEL SOLE Potestà CIELO DEL SOLE Potestà CIELO DI VENERE Principati CIELO DI VENERE Principati CIELO DI MERCURIO Arcangeli CIELO DI MERCURIO Arcangeli CIELO DELLA LUNA Angeli CIELO DELLA LUNA Angeli SFERA DEL FUOCO SFERA DEL FUOCO Spiriti che mancarono ai voti Spiriti che mancarono ai voti Spiriti che mancarono ai voti Trionfo degli angeli Trionfo degli angeli Trionfo degli angeli Trionfo di cristo, di Maria e dei beati Trionfo di cristo, di Maria e dei beati Trionfo di cristo, di Maria e dei beati Spiriti contemplativi Spiriti contemplativi Spiriti contemplativi Spiriti giusti Spiriti giusti Spiriti giusti Spiriti militanti Spiriti militanti Spiriti militanti Spiriti sapienti Spiriti sapienti Spiriti sapienti Spiriti amanti Spiriti amanti Spiriti amanti Spiriti attivi per desiderio di gloria Spiriti attivi per desiderio di gloria Spiriti attivi per desiderio di gloria EMPIREO EMPIREO EMPIREO CORI ANGELICI CANDIDA ROSA CANDIDA ROSA CANDIDA ROSA DIO
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