Lucio si trasforma in asino
Apuleio, Metamorfosi III, 24
Haec identidem adseverans, summa cum trepidatione inrepit cubiculum et pyxidem depromit arcula.
Quam ego amplexus ac deosculatus prius utque mihi prosperis faveret volatibus deprecatus, abiectis propere laciniis totis, avide manus [...]
I filmati proposti intendono concentrarsi tanto sulla vita di Apuleio, così segnata dalle sue scelte in campo religioso, quanto su alcuni aspetti della sua opera più importante l’Asino d’oro.
La vita di Apuleio è stata segnata dal suo interesse nei confronti della magia e dei culti misterici. Nel filmato proposto si dice che il successo dei culti orientali fu tale anche perché la religione tradizionale era entrata in crisi. Ma perché la religio dei padri non soddisfaceva più? Scrivi un breve saggio che metta in evidenza le ragioni e le cause di tale crisi, descrivendo i nuovi bisogni della società.
Alessandro Fo, studioso del tardo antico e traduttore del romanzo di Apuleio, in un suo breve saggio a commento della sua edizione dell’Asino d’oro (di cui puoi trovare un estratto nella tua antologia) scrive “ [...]la coesistenza di leggerezza e profondità che è connaturata al personale carattere di Apuleio, passa tale e quale nel suo stesso romanzo e per suo tramite, punta diritto al suo pubblico: quello leggero troverà leggerezza, ma rischierà il contagio con la profondità; quello profondo saprà allietarsi della leggerezza, godendo però soprattutto, a un livello più sofisticato, della profondità e della sua festosa veste allegorica”. Secondo te, cosa si intende per “leggerezza”? E la leggerezza che si ritrova nel romanzo di Apuleio è un valore oppure un difetto? Ricerca nell’antologia i brani che esemplifichino la leggerezza di cui parla Fo e prova a darne una tua personale definizione.
(*) Per i filmati contrassegnati con questo simbolo è necessaria la connessione web.
Augurium, Auspicum
Il sostantivo augurium deriva dalla stessa radice del verbo augeo, «aumentare»,«far crescere» e anche «far riuscire», «dare successo». Augurium è infatti il segno attraverso il quale gli dèi comunicano il proprio favore a una decisione o a un’impresa che, dunque, riuscirà con successo. Al compito precipuo di trarre l’augurium, ovvero di interrogare gli dèi e ricevere e interpretare il segnale da essi inviato, sono preposti i sacerdoti chiamati appunto augures. Fra i vari riti divinatori che gli àuguri sono incaricati di officiare, senza dubbio il più solenne, quello che i Romani tengono in altissima considerazione quando si tratta di prendere una decisione importante per la vita della comunità intera, è quello che si realizza per mezzo dell’osservazione degli uccelli: l’auspicium, da aves (uccelli) e specere (osservare). Il volo degli uccelli infatti segnala - attraverso il numero, la disposizione, la direzione da cui gli uccelli stessi arrivavano rispetto all’osservatore che trae gli auspici - se gli dèi sono favorevoli o meno all’impresa per cui vengono interrogati, se ne decreteranno il successo o il fallimento. Come accade, per esempio, nel mito stesso della fondazione di Roma, secondo il quale Romolo e Remo, per stabilire a quale dei due dovesse andare il regno della nuova città, ricorsero proprio all’auspicium, affidando agli dèi la decisione ultima.
Statuetta in bronzo raffigurante un augure con lituo, VI secolo a.C., Roma, Museo del Foro
Felix, Infelix
Felix è un aggettivo molto antico e di grande fortuna presso i Romani. Già nelle prime attestazioni è usato come termine del lessico tecnico agricolo, a indicare piante o terreni fertili, in due sensi, «che produce molti frutti» e «che rende fertile», «che porta fertilità». Fra tutti noto, l’uso dell’aggettivo e del suo contrario, infelix, che Catone fa nel De agri cultura, in riferimento agli arbores: fertili e fruttuosi i primi, sterili gli altri. Altrettanto antica è la connotazione in senso religioso dell’aggettivo, sempre, o meglio in speciale modo, in riferimento al mondo botanico: felices, ovvero «fausti», dal potere “sacro” buono e propizio, sono le piante (alberi, erbe, fiori, etc.) adatte a essere adoperate nei riti, infelices quelli per così dire “maledetti”. Non si tratta d’altra parte di una sfera di senso autonoma e indipendente rispetto a quella tecnica agricola: la fertilità, la capacità di produrre materialmente vita, implica, nella connotazione religiosa, l’idea di una condizione “privilegiata” e “protetta”, ovvero il godere del favore divino, e insieme di una virtù/capacità intrinseca di «portare a buon esito». Da questo primo senso attivo «che porta frutto», «che porta a buon esito» si sviluppa poi quello passivo di «favorito dalla fortuna», prevalentemente riferito agli uomini, che si estende da un ordine meramente materiale, concreto, “esterno”, alla dimensione interiore, la condizione psicologico-emotiva di felicità.
Laureto con fiori e uccelli, particolare dal viridario della villa di Livia, I secolo d.C., Roma, Museo Nazionale Romano
Religio
Del termine religio i Romani fornivano tre spiegazioni. La prima lo faceva risalire al verbo relegere: «coloro che trattavano con cura e, per così dire, riprendevano (relegerent) tutto ciò che riguarda il culto degli dèi furono detti religiosi da relegere» (Cicerone, De natura deorum II, 72). La seconda legava il termine alla nozione di vincolo: «un’altra diramazione, per così dire, del significato portò a usare religiosus nel senso di virtuoso, osservante, che si vincola a determinate leggi e limiti» (Gellio, Noctes Atticae, IV, 9, 3) e ancora «siamo legati e costretti (religati) a dio da tale vincolo del sentimento religioso. Da ciò ha preso il nome la religio stessa» (Lattanzio, Institutiones Divinae, IV, 28).
La terza derivava religio dal verbo relinquere, «separare»: «religiosus è qualcosa che per il suo carattere sacro è lontano e separato da noi, e il vocabolo deriva da relinquo [...]. Secondo questa interpretazione di Sabino, i templi e i santuari sono chiamati religiosa perché a essi si accede non come folla indifferente e distratta, ma dopo una purificazione e nella dovuta forma, e devono essere più riveriti e temuti che non aperti al volgo» (Gellio, Noctes Atticae IV, 9, 9). Da queste tre spiegazioni emergono i tratti che secondo i Romani “definivano” la religio: atto (o insieme di atti) di culto (eseguito scrupolosamente, correttamente) e insieme disposizione d’animo “pia”, sentimento di devozione, rispetto e adesione “sentimentale” alle parole e ai gesti del rito stesso.
Scena di sacrificio con uccisione rituale del toro, decorazione del lato frontale dell’altare, tempio di Vespasiano a Pompei, I secolo d.C., Sopraintendenza archeologica
Il piacere del racconto
Immagina di essere il curatore di una mostra e di utilizzare le cinque sale che hai a disposizione per presentare a un pubblico non esperto l’originale opera di Apuleio. Lo schema digitale che hai a disposizione ha lo stesso funzionamento tecnico di PowerPoint; può quindi contenere testi, immagini, file audio, link a video (se presente il collegamento in rete). Utilizza tutto il materiale che hai a disposizione: le conoscenze acquisite, le letture, gli appro- fondimenti (Filo rosso, Cultura Letteratura Storia), i filmati, gli spaccati di antropologia Uomo Sacro Società, le schede sui generi letterari. Porta i tuoi visitatori attraverso un percorso che attraverso le opere di Apuleio permetta di esplorare alcuni concetti significativi della cultura dell’impero.
Sala 1
Apuleio il mago: quale rapporto ebbe lo scrittore di Madaura con la magia? Quale presenza e rilevanza aveva la magia nella Roma imperiale?
Sala 2
“L’uomo, la bestia e la virtù”: la vicenda di Lucio, tra curiositas, imbestialimento e redenzione
Sala 3
Il piacere di narrare: le Metamorfosi come raccolta di “racconti nel racconto”
Sala 4
Amore e Psiche: una fiaba che si imprime nell’immaginario collettivo
Sala 5
Iside: i culti misterici in età imperiale
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