Tutti gli esseri umani sono uguali

Secondo quanto afferma l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Giornata internazionale per la Fratellanza umana «ha l'obiettivo di promuovere il dialogo interreligioso e interculturale nel Mondo, in un contesto in cui il fenomeno dell'intolleranza religiosa si fa crescente anche durante la pandemia da Covid-19».

Si tratta di un appello congiunto a porre fine alla violenza e all'intolleranza, in particolar modo di matrice religiosa, basato sul principio enunciato ad Abu Dhabi per cui «la fede porta il credente a vedere nell'altro un fratello da sostenere e da amare».

Da un punto di vista laico, la Dichiarazione universale dei diritti umani approvata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 afferma all'articolo 1: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza».

Il Diritto internazionale afferma il concetto di famiglia in senso lato, la "famiglia umana" i cui membri sono tutti gli esseri umani, senza alcuna distinzione: è quanto afferma il Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato dall’ONU nel 1966 ed entrato in vigore nel 1976.

Nel 1989, l'ONU ha adottato anche la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, sottolineando che anche i bambini e gli adolescenti appartengono all'unica famiglia umana e pertanto ne vanno tutelati dignità e diritti.

Dunque, vi è continuità tra il mondo laico e quello religioso: entrambi affermano che siamo tutti uguali e tutti fratelli.

Fenomeni di intolleranza e odio

Nonostante l'affermazione di questi princípi, gli esseri umani dimenticano spesso la comune appartenenza alla famiglia umana e, anziché agire in spirito di fratellanza, spesso manifestano diffidenza o intolleranza; altrettanto spesso aggrediscono con violenza coloro che appartengono a una cultura diversa dalla propria o che hanno un differente credo religioso.

Questo mette a rischio la convivenza pacifica e induce ad «alzare muri, anziché gettare ponti» con chi ci appare diverso, perché è straniero, perché ha credenze o convinzioni differenti.

Basta la tolleranza?

Indubbiamente stare con chi ha le nostre stesse abitudini, i nostri valori e le nostre convinzioni è più facile che trovare il modo di convivere con chi ha consuetudini che ci sono estranee oppure idee diverse dalle nostre.

La parola chiave che, solitamente, si evoca ai fini della convivenza pacifica è "tolleranza", un valore evidenziato dal filosofo francese Voltaire nel XVIII secolo, epoca di sanguinosi conflitti religiosi e di persecuzioni.

Dopo Voltaire molti altri hanno lanciato un grido di allarme nei confronti di un atteggiamento intollerante e fanatico, che troppo spesso conduce a odio e persecuzione, ma, come la storia dimostra, sono rimasti inascoltati. Questo ha compromesso il diffondersi di una cultura del reciproco rispetto e della pace.

Ma "tollerare" gli altri è sufficiente?
Secondo la filosofa Donatella Di Cesare: «"Tolleranza" è una brutta parola. È la parola pronunciata dall'io sovrano che, dall'alto del suo potere, sopporta la differenza dell'altro».

Si tratterebbe, di conseguenza, di un valore troppo fragile e limitato. «La tolleranza è sempre la "ragione del più forte", è un segno della sovranità; è il buon viso della sovranità che, dalla sua altezza, fa capire all'altro: non sei insopportabile, ti lascio un posticino a casa mia, ma non dimenticarlo, sei a casa mia»: queste parole del filosofo Jacques Derrida sono altrettanto severe e meritano una riflessione.

A questo punto, un dubbio sorge spontaneo: essere tolleranti significa rinunciare alla propria cultura e alle proprie tradizioni?

Il filosofo Karl Popper sosteneva che essere tolleranti non significa accettare qualunque cosa venga dagli altri: «Dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti».