L'altro da accogliere

"Chi è l'altro?" è una domanda che interpella quotidianamente la nostra esistenza in un tempo di migrazioni e spostamenti di popoli.

La nostra è, ormai, una società multietnica e multiculturale, in cui convivono religioni e credenze diverse. Masse di gente fuggono dalla povertà, dalla schiavitù, dalle persecuzioni, dalle emergenze climatiche.

Spesso la presenza di stranieri nel proprio Paese è occasione di critiche, malumori, tensioni (o nei casi peggiori di xenofobia o razzismo): fare una riflessione su chi è lo straniero e come ci si deve porre in relazione con lui è fondamentale.

Accogliere gli stranieri

Osserva papa Francesco: «Certo, l'ideale sarebbe evitare le migrazioni non necessarie e a tale scopo la strada è creare nei Paesi di origine la possibilità concreta di vivere e di crescere con dignità, così che si possano trovare lì le condizioni per il proprio sviluppo integrale. Ma, finché non ci sono seri progressi in questa direzione, è nostro dovere rispettare il diritto di ogni essere umano di trovare un luogo dove poter non solo soddisfare i suoi bisogni primari e quelli della sua famiglia, ma anche realizzarsi pienamente come persona. I nostri sforzi nei confronti delle persone migranti che arrivano si possono riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare» (Fratelli tutti, n.129).

Riconoscere l'altro nella sua singolarità specifica, riconoscerne la dignità, il valore umano inestimabile, accettarne la libertà e le differenze significa desiderare di fargli posto nella nostra esistenza e, quindi accettarlo.

In una società come quella attuale, ridisegnata da potenti flussi migratori, questo atteggiamento verso l'altro è qualcosa di cui non possiamo fare a meno se vogliamo vivere in un mondo pacifico. Purtroppo, non è un atteggiamento diffuso.

Le derive della diffidenza: xenofobia e razzismo

Nella storia umana le migrazioni dei popoli hanno avuto sempre un duplice effetto: da un lato hanno contribuito allo sviluppo e alla crescita delle comunità interessate dal loro afflusso, dall'altro hanno causato tensioni, scontri, paure e diffidenza.

È la naturale conseguenza di un confronto fra culture diverse e persone che devono dividere il medesimo territorio: le tradizioni, le storie culturali e la fede religiosa del gruppo dominante interagiscono con quelle dei gruppi stranieri e devono trovare un modo per coabitare senza conflitti.

Non è certamente semplice, perché noi uomini abbiamo una naturale diffidenza verso ciò che non conosciamo. Spesso, si identifica lo straniero con colui che può recarci un danno, dimenticando che le migrazioni sono determinate dal tentativo di sfuggire povertà, fame, miseria, persecuzioni politiche o religiose, schiavitù.

Quando il timore di vedere violata la propria identità e la propria cultura porta a ridurre le relazioni sociali al solo dato etnico, alla lingua parlata o alla religione praticata, si apre la strada ad atteggiamenti intolleranti che derivano da xenofobia (l'odio per lo straniero) e razzismo (la convinzione – infondata – che l'umanità si divida in razze "superiori" e "inferiori").

La diversità come opportunità

«L’arrivo di persone diverse, che provengono da un contesto vitale e culturale differente, si trasforma in un dono, perché quelle dei migranti sono anche storie di incontro tra persone e tra culture: per le comunità e le società in cui arrivano sono una opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale di tutti» (Fratelli tutti, n. 133).
L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato per la prima volta nel 2002 la Giornata mondiale della diversità culturale per il dialogo e lo sviluppo, che si tiene da allora ogni anno il 21 maggio, per celebrare non solo la ricchezza delle culture del mondo, ma anche il ruolo essenziale del dialogo interculturale per il raggiungimento della pace e dello sviluppo.