La fragilità individuale e globale

La pandemia ha evidenziato ancora di più la nostra interdipendenza e il fatto che, per uscire migliori dalla crisi provocata dal Coronavirus, si deve agire insieme.

Il periodo drammatico che abbiamo vissuto ci ha ricordato la condizione di fragilità globale, da anni rimossa nel mito dell'efficientismo, dell'autonomia, dell'invulnerabilità, dimenticando la nostra reale condizione, che è la finitudine.

In occasione della firma dell'enciclica Fratelli tutti, il Papa ha ricordato che «la fragilità che ci segna e ci accomuna» è una condizione intrinseca alla nostra esistenza: mentre il «sovranismo dell'ego» s'illudeva di aver fatto saltare tutti i ponti del "noi'", il virus ci ha ricordato per via negativa che non è possibile separare fragilità individuale e fragilità globale.

«Dall’esperienza della pandemia tutti stiamo imparando che nessuno si salva da solo», ha detto ancora il Papa, «Abbiamo compreso meglio che ogni scelta personale ricade sulla vita del prossimo. Siamo stati costretti dagli eventi a guardare in faccia la nostra reciproca appartenenza, il nostro essere fratelli in una casa comune».

Riconoscerci accomunati – affratellati – dalla fragilità, può aiutarci a scorgere in una fraternità misericordiosa l'orizzonte entro cui riconciliarci, passando - nel nome dell'amore - dal "io" al "noi" e facendo prevalere, nel rapporto tra libertà e uguaglianza, l'essere fratelli e sorelle sulle inimicizie e le disuguaglianze.

Dimenticare la nostra fragilità

Papa Francesco ha insistito sulla fragilità che ci accomuna, ma ha anche lucidamente osservato che non è facile nella nostra cultura - dominata dall'efficientismo e dalla competizione esasperata - ammettere la debolezza, la fragilità e la vulnerabilità.

Secondo il razionalismo imperante, che contiene o addirittura nega la nostra parte emotiva, è difficile accettare questo dato di fatto.
L'essere umano è ridotto a una somma di competenze più o meno sviluppate, è un essere che agisce, parla, fa: il fatto che possa avere delle fragilità è ammissibile solo se spettacolarizzato (per esempio nei reality show), non nella vita di tutti i giorni.

Vi sono parole della filosofa e scrittrice francese Simone Weil che esprimono la necessità di non dimenticare la nostra condizione: «quando tutto va più o meno bene, non si pensa alla nostra fragilità quasi infinita. Ma nulla costringe a non pensarvi. La si può guardare di continuo». Ma noi evitiamo di farlo.

Essere persone etiche

Uno dei maggiori psicoanalisti del nostro tempo, Eugenio Borgna, ha affermato: «Meno vita interiore e meno consapevolezza della nostra debolezza abbiamo, e più siamo portati ad agire istintivamente, senza grandi riflessioni. La coscienza della fragilità è propria solo delle persone "etiche". Avere coscienza del valore della fragilità significa non compiere azioni, gesti che possano fare del male agli altri».