La destinazione universale dei beni della Terra

Per i cristiani il Comandamento "non rubare" si declina anche come impegno a condividere quanto si ha.

In questo consiste il principio della destinazione universale dei beni della Terra, con il quale si intende la convinzione che tutti i beni del Creato sono stati donati da Dio a tutti gli uomini e a tutti i popoli (Gaudium et Spes, n. 69).

Per i credenti l'origine dei beni terreni riconduce all'atto creativo di Dio, che ha voluto la Terra per tutti gli uomini: di conseguenza questi beni devono essere amministrati a vantaggio di tutti e non solo di alcuni.

Questo non esclude il diritto alla proprietà privata, la cui legittimità, a partire da papa Leone XIII in poi, è stata ribadita dalla Dottrina sociale della Chiesa.

Tuttavia, la fede nel Dio creatore di ogni bene non può dissociarsi dalla responsabilità assegnata agli uomini di far sì che tutti, nessuno escluso, abbiano accesso ai beni della Creazione: la disponibilità ultima dei beni terreni è universale, non individuale.

La Populorum Progressio, un'enciclica di papa Paolo VI (riprendendo la Mater et Magistra di papa Giovanni XXIII), sottolinea come il problema sociale sia un problema morale, addirittura afferma: «Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati alla destinazione universale dei beni» (Populorum Progressio, n. 22).

In tempi più recenti papa Francesco ha affermato «Il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al Bene comune» (Evangelii Gaudium, n. 189).
La proprietà privata, perciò, ha inscritta in sé una precisa responsabilità sociale.

La tendenza a saccheggiare i beni comuni

In senso ambientale, i beni comuni sono quelli non privati, che devono essere accessibili a tutti e che sono indispensabili per la sopravvivenza.

Il problema dei beni comuni, oggi particolarmente urgente, è stato evidenziato fin dagli anni Sessanta, in particolare dal biologo Garrett Hardin. Egli denunciò la tendenza a sovrasfruttare le risorse comuni: se un bene non appartiene a nessuno, ma è a disposizione di tutti e liberamente accessibile, ogni individuo tende naturalmente ad appropriarsene, deteriorandolo e privando, di fatto, gli altri delle possibilità di goderne.

L'individuo che si appropria del bene comune e lo sfrutta gode per intero del beneficio, mentre sostiene solo una piccola parte del costo, in quanto il costo (e solo quello) è effettivamente condiviso dalla collettività. Poiché tutti ragionano nello stesso modo, il risultato è il saccheggio del bene.

D'altro canto, nessuno è incentivato a darsi da fare per migliorare il bene comune, poiché sosterrebbe un costo a fronte di un beneficio di cui potrebbe appropriarsi solo in parte.

Il fenomeno individuato da Hardin è noto come Tragedy of the Commons: la "tragedia dei beni comuni".

Spesso questa situazione è anche indicata come "problema del free rider", che si verifica quando un individuo beneficia di risorse comuni, di cui si fa carico il resto della collettività, senza farsene carico a sua volta.

L’economista statunitense Elinor Ostrom, premio Nobel per l'economia nel 2009, ha analizzato le condizioni che devono verificarsi affinché il saccheggio delle Common Properties non degeneri, identificando le condizioni che devono valere affinché una gestione "comunitaria" possa rimanere sostenibile nel lungo termine.

La studiosa si è occupata in particolare dei beni comuni globali come l'atmosfera, il clima o gli oceani, per salvaguardare i quali mancano sia un possibile proprietario privato sia un soggetto statale in grado di affermare e difendere la proprietà pubblica. La soluzione proposta è quella di:

  • individuare e seguire regole condivise, che vengono rispettate perché sono percepite come giuste e non per convenienza;
  • instaurare una cooperazione tra i popoli della Terra per raggiungere un qualsiasi risultato in termini di lotta ai cambiamenti climatici.