L'amore e la giustizia

La Terra produce beni e frutti che, in linea teorica, sono beni comuni, a disposizione di tutti, per il bene di tutti. In pratica, sappiamo che non è così.

Al di là delle normali differenze rispetto alle proprietà che si possiedono, vi sono molti esseri umani ai quali manca lo stretto necessario per vivere e che, letteralmente, muoiono di fame.

Nei loro confronti i cristiani sono chiamati a rispettare il comandamento dell'amore scritto nel Levitico e rafforzato da Gesù.

Ma l'amore da solo non basta: occorre che sia realizzata una situazione di giustizia. Il problema della povertà nel mondo è un problema di giustizia sociale e deve essere affrontato in termini politici: «All'amore ci si può appellare, la giustizia si può reclamare» (Docat, n. 111).

Il problema di realizzare una società giusta è da sempre al centro dell'etica sociale cristiana, ma è fondamentale anche a livello civile, tanto è vero che alcuni degli obiettivi dell’Agenda 2030 mirano a sconfiggere la povertà e la fame, problemi ancora ampiamente diffusi sul nostro Pianeta, specialmente nei Paesi in via di sviluppo, ma non solo.

È centrale realizzare un'economia finalizzata al Bene comune, basata sul senso di appartenenza a una comunità – quella umana – in cui tutti devono avere pari opportunità e fondata su solidi valori morali come la condivisione e la solidarietà.

Il povero è il nostro prossimo

Per i cristiani, oltre all'appartenenza alla comunità umana, è fondamentale il monito di Gesù, che ricorda la predilezione di Dio per i poveri: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel Regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno di Dio» (Matteo 19, 23-24).

Al contempo, Egli richiama con energia il dovere morale da parte di coloro che possiedono dei beni di farsi carico di chi non ha nulla, già bene presente nella società ebraica. Nel messaggio per la IV Giornata Mondiale dei Poveri (2020) il Papa ha indicato nell’esortazione contenuta nel Libro del Siracide «Tendi la tua mano al povero» (7, 32) il "codice sacro" che dovrebbe dominare la vita del cristiano.

Nella parabola del ricco e del povero Lazzaro (Luca 16, 19-21), al ricco viene impedito l'accesso al Paradiso perché «ogni giorno si dava a lauti banchetti» mentre il povero mendicante «stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe».

Il motivo della preclusione al ricco è chiaro, come indica Matteo al capitolo 25, 42: «ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere».

Il ricco della parabola non ha considerato come "prossimo" il povero. Al contrario, secondo un atteggiamento autenticamente cristiano, il prossimo va considerato come un altro sé stesso e quindi bisogna aiutarlo a vivere con i mezzi necessari.

L'esistenza di persone che muoiono di fame è un’offesa nei confronti di Dio creatore, come ricorda la Chiesa nella costituzione conciliare Gaudium et Spes e indica ai cristiani il dovere di soccorrere chi ha fame (Decreto di Graziano, n. 86).

A servizio degli altri

Per il credente l'invito evangelico di mettersi al servizio degli altri è una «condizione dell'autenticità della fede professata».

L'impegno verso i poveri e gli emarginati deve essere concreto e animato da un sentimento di autentica amicizia che induce a "tendere la mano", in segno di aiuto, di prossimità e vicinanza.

Per i cristiani l'inclusione sociale dei poveri «non è frutto di strategie più o meno accorte ma è questione e frutto di uno stile, appreso alla scuola di Gesù» ha detto monsignor Nunzio Galantino, che ha precisato: «Assumere il punto di vista dei poveri in vista della loro inclusione, vuol dire prima di tutto ridefinirsi come Chiesa povera e per i poveri, che sa anche imparare da loro, lasciarsi evangelizzare da loro e dal loro modo di stare davanti a Dio e ai fratelli».