La comunicazione oltre le parole

Vi sarà più volte capitato, studiando lingua o letteratura italiana, di soffermarvi sul significato complesso di comunicazione: chi emette un messaggio, chi lo riceve, il mezzo che lo veicola ecc.

Non dobbiamo però dimenticare che noi esseri umani comunichiamo soprattutto con le parole, ma non solo: pensate all'importanza dei gesti, delle espressioni del volto, dello sguardo, della postura del nostro corpo (tutto questo costituisce la cosiddetta "prossemica").

Comunichiamo persino con il silenzio, perché anche tacendo noi vogliamo "significare" qualcosa al nostro interlocutore (dissenso, rassegnazione, disinteresse, o viceversa grande attenzione per ciò che è stato detto e che deve essere "metabolizzato": insomma, il significato è diverso a seconda delle situazioni).

Nel presentare la LV Giornata Mondiale per le Comunicazioni Sociali, papa Francesco ha ribadito l'importanza di tutti questi aspetti nel modo di comunicare di Gesù: «Nella comunicazione nulla può mai completamente sostituire il vedere di persona. Alcune cose si possono imparare solo facendone esperienza. Non si comunica, infatti, solo con le parole, ma con gli occhi, con il tono della voce, con i gesti. La forte attrattiva di Gesù su chi lo incontrava dipendeva dalla verità della sua predicazione, ma l'efficacia di ciò che diceva era inscindibile dal suo sguardo, dai suoi atteggiamenti e persino dai suoi silenzi. I discepoli non solamente ascoltavano le sue parole, lo guardavano parlare».

Come Gesù, coloro i quali si assumono il compito di annunciare il vangelo devono porre attenzione soprattutto al modo in cui comunicano un messaggio fondamentale e rivoluzionario, svolgendo un compito che richiede passione ed energia particolari.

Nello svolgimento di questo compito, le parole sono importanti, ma altrettanto lo è l'incontro, grazie al quale la comunicazione diventa più vitale e incisiva.

Lo "zooming" permette una comunicazione autentica?

Nel corso della pandemia sono entrate nel nostro vocabolario parole nuove: per esempio, "zooming" ossia comunicare con Zoom o con altre piattaforme, non solo nella didattica a distanza, ma anche per connettersi con gli amici e con i familiari, quando si fanno incontri di lavoro, quando si fanno conferenze di ogni genere.

Gli psicologi e gli esperti di comunicazione hanno iniziato a studiare gli effetti della comunicazione a distanza sulle persone dopo ore e ore davanti allo schermo: il Laboratorio di Interazione Umana Virtuale presso la Stanford University (California) ha evidenziato come ci si senta spesso stanchi, svuotati, quasi alienati "dentro" lo schermo che ha divorato energie mentali e fisiche.

Lo psichiatra Massimo Ammanniti si è soffermato sulle conseguenze dello zooming, sul nostro modo di comunicare: «quando si parla con un'altra persona ci si muove, si gesticola, a volte ci si alza, quasi per facilitare il pensiero e l'espressione verbale ma anche per connotare ulteriormente quello che si vuole dire. Davanti allo schermo il lessico comunicativo diviene necessariamente più rigido, meno ricco di sfumature e di modulazioni.
È proprio il comportamento extraverbale a essere più negativamente condizionato dalle videochat, tenendo presente che questa comunicazione ci accompagna dall'alba dei tempi, anche prima della comparsa del linguaggio».

Viene, insomma, meno quella vivacità e autenticità che, come ricorda papa Francesco, era tipica del modo di comunicare di Gesù, il quale invitava a «venire e vedere» (Giovanni 1, 46), cioè a "fare esperienza" della realtà che si vuole conoscere.

In un'omelia a Santa Marta il Papa ha rammentato come lo sguardo di Gesù fosse così coinvolgente da cambiare completamente la vita delle persone (è il caso, ad esempio, del pubblicano Matteo).