L'abuso dei social

Si può essere dipendenti dai social?
Uno dei fenomeni che gli esperti hanno registrato, per quanto riguarda i social network, è proprio la dipendenza che essi tendono a creare.

L'esempio più immediato è la dipendenza dai "like": in una fase delicata di costruzione e sviluppo della personalità, com'è quella dell’adolescenza, spesso accompagnata da esperienze poco gratificanti, a volte perfino frustranti (la difficoltà a relazionarsi con i genitori, i piccoli insuccessi scolastici o sociali ecc.), la ricerca dell'approvazione altrui, attraverso i "mi piace", crea euforia.

Si sviluppa così una forte dipendenza dal social: molte persone giungono a provare uno stato di malessere quando non hanno lo smartphone a portata di mano per un periodo di tempo prolungato. La sensazione è quella che ci si stia perdendo qualcosa di importante, mentre la realtà al di fuori dei social media perde velocemente ogni attrattiva.

Papa Francesco, in un Discorso tenuto alla Conferenza Internazionale sul tema "Droghe e dipendenze: un ostacolo allo sviluppo umano integrale" (2018), ha affermato che «un ambito sempre più rischioso si sta rivelando lo spazio virtuale: in alcuni siti di Internet, i giovani, e non solo, vengono adescati e trascinati in una schiavitù dalla quale è difficile liberarsi e che conduce alla perdita del senso della vita e a volte della vita stessa» .

L'abuso della Rete, come gli abusi di sostanze quali alcol e droga, produce una perdita dell'autodeterminazione, di controllo delle proprie azioni, il rischio di isolamento sociale.

Le patologie di Rete

Ancora più grave è il fenomeno noto come sindrome di Hikikomori, termine giapponese che alla lettera significa "stare in disparte" e che negli ultimi anni è stato usato per descrivere la situazione di quei giovani che si rinchiudono nelle loro camere, senza più uscirne per mesi, e che hanno contatti con il mondo esterno solo grazie a Internet e ai nuovi strumenti tecnologici.

Il fenomeno sembra in ascesa in tutti i Paesi più ricchi, in cui la cosiddetta "IGen generation" (la generazione sempre connessa ai vari device) si dimostra in modo crescente abulica e solitaria, determinando il paradosso che la sociologa statunitense Sherry Turkle ha definito del "insieme ma soli".

«Gli adolescenti sono nell'età della sperimentazione identitaria, perché devono capire chi sono. I media sono occasioni per sperimentare, anche le sensazioni, per comprendere i propri limiti» , ha spiegato Simone Mulargia, professore presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale dell'Università La Sapienza di Roma, dove insegna Sociologia della Comunicazione, Internet e Social Media. «Capire i propri limiti non è sbagliato perché fa parte della crescita. Diventa sbagliato quando i ragazzi vengono lasciati soli perché, è bene ricordarlo, i media sono un'opportunità ma anche un pericolo: più i ragazzi stanno in Rete più aumentano le opportunità ma anche i pericoli».

Un aiuto possibile viene da una corretta comunicazione in famiglia: «ll primo passo è dialogare coi genitori perché è vero che gli adolescenti hanno le competenze tecniche per muoversi sul WEB e nei social ma non hanno le competenze strategiche e informative: non sanno come costruirsi un percorso informativo».