Uno sguardo sull'avvenire

Nel nostro Paese, i recenti dati ISTAT hanno segnato un ulteriore freno alla natalità già in crisi da tempo: la precarietà sociale aggravata dalla pandemia da Covid-19 ha evidentemente ancor più ridimensionato il desiderio di avvenire e l'Italia non sembra capace di scommettere sul futuro.

Il nostro Paese appare, quindi, privo di Speranza, cioè di quell’atteggiamento di aspettativa di un cambiamento positivo d’orizzonte, verso il quale ci si protende con fiducia.

Nonostante il prepotente desiderio di ritorno alla normalità, la lunga crisi sanitaria che si è innestata su una precedente mai risolta crisi economica e del lavoro ha fatto dunque percepire nel nostro Paese un atteggiamento diffuso opposto alla Speranza, cioè quello della disperazione: la sensazione che si prova quando – come ha spiegato efficacemente il filosofo francese Jean-Paul Sartre – ci si trova in una situazione che pare un vicolo cieco senza via d'uscita.

Giotto, nella Cappella degli Scrovegni a Padova, ha dato una rappresentazione drammatica della Disperazione (che per i cristiani è uno dei "vizi capitali"): si tratta di una donna impiccata, con le mani contratte, insidiata da un demonio. Per i credenti, l'inconsolabile sconforto nasce dal ritenere imperdonabili i propri peccati e dalla mancanza di Speranza nella redenzione portata da Cristo.

Per chi non crede la disperazione non è peccato, ma uno stato d'animo di grande sofferenza che nasce dalla sensazione di annichilimento e impotenza di fronte a eventi ineluttabili: la disperazione, secondo la definizione del filosofo danese Søren Kierkegaard, è «la malattia mortale», che toglie il respiro, che rinnega la vita, che annienta la consapevolezza di sé e la volontà di realizzare la propria essenza; è la non accettazione della condizione umana (fatta di fragilità ed esposizione al Male) che impedisce di tendere verso una meta e di vedere una via d’uscita o un orizzonte possibile.

Apertura fiduciosa al futuro

L'essere umano può vivere senza la Speranza? Senza avere in mente progetti da realizzare, senza la dimensione di un possibile futuro verso cui orientarsi?

Una vita priva di Speranza appare insopportabile e priva di senso, così che lo scrittore francese Georges Bernanos, conscio del fatto che la Speranza non è sinonimo di certezza, ha affermato: «la Speranza è un rischio da correre […] addirittura il rischio dei rischi». Ma senza questa sorta di "scommessa" sul futuro (rinnegata peraltro dal razionalismo) la quotidianità diventa insopportabile.

Per i credenti essere disperati è una condizione di peccato. La Speranza è, infatti, uno dei cardini della morale cattolica, essendo insieme alla Fede e alla Carità una della tre "virtù teologali": una virtù, cioè, che riguarda Dio e che, pur dovendo essere coltivata dall'uomo, è fortificata dalla grazia divina.

Giotto nella Cappella degli Scrovegni rappresenta questa virtù come una figura femminile alata, protesa verso un angelo che le porge una corona.
Questo protendersi verso un "oltre" rappresenta il senso della Speranza anche per chi non crede: sperare significa vivere con un senso di apertura al futuro, che permette di far fronte alle difficoltà e alle sofferenze in cui tutti gli uomini, inevitabilmente, si imbattono.

Nel mondo pagano greco-romano la Speranza era personificata e venerata come divinità: veniva rappresentata con un bocciolo di fiore in mano, simbolo della vita che si schiude.

Di queste visioni, nella lingua e nel pensare quotidiano, anche quando non si fa riferimento alla sfera divina, resta il sentimento fiducioso che si realizzi un Bene futuro che desideriamo, che auspichiamo si realizzi; un qualcosa che ci procuri benessere e che ci sollevi dal Male del presente.

Spesso la Speranza non ha un appiglio concreto, ma è un pensiero consolatorio che formuliamo quando cerchiamo protezione alla nostra vulnerabilità e ci troviamo in una situazione di pena, sofferenza, disgrazia o paura. Qualcosa a cui "ci aggrappiamo", secondo un modo di dire comune.