La bellezza soggettiva e universale

Non ogni conoscenza sensibile riguarda la bellezza, ma per conoscere la bellezza di qualcosa si passa per forza attraverso i sensi.

Secondo il filosofo tedesco Immanuel Kant il bello ha una sua specifica facoltà di riferimento, che è il sentimento, cioè la capacità soggettiva di provare piacere (o dispiacere) di fronte a determinate cose. Secondo il filosofo non è la cosa in sé a essere bella, ma è bella l'impressione che ne riceviamo.

In pratica, se dovessimo trarre le conclusioni dalla riflessione di Kant, potremmo dire che è bello ciò che piace. E che cosa vuol dire che qualcosa ci piace? Che ci fa stare bene, ci procura un certo godimento, che dipende dalla nostra interiorità.

Per esempio, se proviamo piacere di fronte a un tramonto, stiamo facendo un'esperienza estetica: noi attribuiamo la bellezza al tramonto, ma la bellezza è nello stato interiore determinato dal piacere che proviamo di fronte al tramonto.

La bellezza come qualcosa di soggettivo e sentimentale, che viene sottratta alla realtà esterna e appartiene all'esperienza interiore, introduce dei concetti riguardo al bello e all'arte che ancora oggi ci appartengono.

Tuttavia – precisava Kant – anche se il bello dipende dal soggetto (e non dall'oggetto) ed è, quindi, qualcosa di soggettivo, non per questo è arbitrario. Il bello è, infatti, anche universale: valido per tutti, perché noi siamo fatti nel nostro intimo tutti alla stessa maniera, siamo tutti uguali.

Se il termine "bellezza" è largamente diffuso e condiviso in maniera apparentemente non problematica, occorre sforzarsi di individuare alcuni parametri oggettivi, alcuni aspetti costitutivi di ciò che viene descritto come bello, per evitare una prospettiva vaga e soggettivistica, o persino, solipsistica di gusto.

«Ma chi stabilisce il gusto? I musei, la critica d'arte nascono appunto per stabilire il gusto estetico» fa notare il filosofo Remo Bodei.