SEI Editrice
LA CAPPELLA SISTINA - A cura di Enrico Badellino
 

Il profeta Daniele


  • La figura del profeta
  • Il volto del profeta
  • Il putto            

Il personaggio

Daniele (in ebraico Daniyel, "Dio è il mio giudice"), nato a Gerusalemme tra la fine del VII e gli inizi del VI secolo a.C. da nobile famiglia, fu deportato a Babilonia tra il 606-605 a.C.
Di lui si dice che ricevette da Dio il «dono della scienza e dell’intelligenza di ogni libro» e «della sapienza e dell’intelligenza di ogni visione e di ogni sogno». Dal momento che seppe interpretare alcuni sogni di Nabucodonosor, il sovrano lo nominò «principe dei prefetti sopra tutti i sapienti di Babilonia». Dopo l’occupazione di Babilonia da parte dei Persiani, Daniele fu molto apprezzato anche da Ciro, che lo nominò triumviro. Ciò suscitò l’invidia dei principi e dei satrapi, che indussero Ciro a condannarlo alla fossa dei leoni. Il Profeta ne uscì miracolosamente indenne e il re dichiarò: «Si tema il Dio di Daniele, perché egli è il Dio vivente che dura in eterno». Mentre nel 538 a.C., grazie al decreto di Ciro, i giudei ritornavano in Palestina, Daniele preferì restare a Babilonia, dove per la seconda volta fu gettato nella fossa dei leoni e miracolosamente liberato.

Quello noto come Libro di Daniele fu scritto in epoca assai più tarda, poiché l’autore conosce la data di riconsacrazione del tempio (dicembre del 165 a.C.).
Questo libro si allontana dal giudaismo ufficiale della sua epoca per almeno due motivi fondamentali:
1) la credenza nella resurrezione, che in seguito diventerà patrimonio di quasi tutto il giudaismo e del cristianesimo;
2) la concezione della sapienza, cui l’autore attribuisce un valore supremo. Si dice che Daniele fu accolto alla corte di Babilonia perché aveva una sapienza «dieci volte» maggiore rispetto a quella di tutti gli indovini e maghi del regno.
È importante rilevare, tuttavia, che la sua concezione della sapienza si discosta dalla corrente cosiddetta sapienziale, secondo la quale alla sapienza si arriva attraverso l’esperienza (Giobbe 12, 3): Daniele ritiene la sapienza un dono di Dio, un’illuminazione.

Il Libro di Daniele appartiene al genere letterario apocalittico [la letteratura apocalittica offre una visione pessimista del presente, travolto da sofferenze e rovine, mentre è ottimista per l'avvenire, segnato dall'avvento del Regno di Dio], perché usa come mezzi espressivi sogni e visioni.
Le visioni del testo di Daniele trovano corrispondenza nel Nuovo Testamento, in particolare nell’Apocalisse di san Giovanni. Un esempio significativo è il capitolo in cui si parla di un libro che il profeta deve sigillare: «Ora tu, Daniele, chiudi queste parole e sigilla questo libro, fino al tempo della fine» (Daniele 12, 4). Questo libro rimanda a quello dell’Apocalisse, con i suoi sette sigilli, che sarà aperto alla fine dei tempi dall’Agnello: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (Apocalisse 5, 9-10). I gesti e le visioni di Daniele nell’Antico Testamento preannunciano quello che si manifesterà con la venuta di Cristo e il Libro di Daniele porta con sé la visione messianica della storia [l'idea cioè di un futuro di salvezza].

Numerose espressioni e immagini importanti del Nuovo Testamento sono presenti già negli scritti di Daniele – come il Regno di Dio, il Regno dei cieli e, soprattutto, il Figlio dell’uomo: «Guardando ancora nelle visioni notturne, / ecco apparire, sulle nubi del cielo, / uno, simile a un figlio di uomo; / giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, / che gli diede potere, gloria e regno; / tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; / il suo potere è un potere eterno, / che non tramonta mai e il suo regno è tale / che non sarà mai distrutto» (Daniele 7, 13-14).
Gesù stesso, nel Vangelo di Matteo, si attribuisce il nome di «Figlio dell’uomo»:
Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Matteo 8, 20)

La parola del profeta

Allora il re ordinò che si prendesse Daniele e si gettasse nella fossa dei leoni. Il re, rivolto a Daniele, gli disse: «Quel Dio, che tu servi con perseveranza, ti possa salvare!».
Poi fu portata una pietra e fu posta sopra la bocca della fossa: il re la sigillò con il suo anello e con l’anello dei suoi grandi, perché niente fosse mutato sulla sorte di Daniele.
Quindi il re ritornò alla reggia, passò la notte digiuno, non gli fu introdotta alcuna donna e anche il sonno lo abbandonò.
La mattina dopo il re si alzò di buon’ora e sullo spuntar del giorno andò in fretta alla fossa dei leoni.
Quando fu vicino, chiamò: «Daniele, servo del Dio vivente, il tuo Dio che tu servi con perseveranza ti ha potuto salvare dai leoni?».
Daniele rispose: «Re, vivi per sempre.
Il mio Dio ha mandato il suo angelo che ha chiuso le fauci dei leoni ed essi non mi hanno fatto alcun male, perché sono stato trovato innocente davanti a lui; ma neppure contro di te, o re, ho commesso alcun male».
Il re fu pieno di gioia e comandò che Daniele fosse tirato fuori dalla fossa. Appena uscito, non si riscontrò in lui lesione alcuna, poiché egli aveva confidato nel suo Dio.
Quindi, per ordine del re, fatti venire quegli uomini che avevano accusato Daniele, furono gettati nella fossa dei leoni insieme con i figli e le mogli. Non erano ancor giunti al fondo della fossa, che i leoni furono loro addosso e stritolarono tutte le loro ossa.
Allora il re Dario scrisse a tutti i popoli, nazioni e lingue, che abitano tutta la terra: «Pace e prosperità.
Per mio comando viene promulgato questo decreto: In tutto l’impero a me soggetto si onori e si tema il Dio di Daniele,
perché egli è il Dio vivente,
che dura in eterno;
il suo regno è tale che non sarà mai distrutto
e il suo dominio non conosce fine.
Egli salva e libera,
fa prodigi e miracoli in cielo e in terra:
egli ha liberato Daniele dalle fauci dei leoni».
Questo Daniele prosperò durante il regno di Dario e il regno di Ciro il Persiano.
Daniele 6, 17-29

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