Baldovino IV (1161-1185), re di Gerusalemme dal 1174 fino alla morte, era davvero malato di lebbra fin da bambino, ma non indossò mai la maschera come nel film. Lo vediamo con altri ragazzi e con il suo maestro Guglielmo di Tiro, che ha appena scoperto i segni della malattia. La miniatura, risalente al XII secolo, è tratta dalla Storia delle imprese d’Oltremare scritta dallo stesso Guglielmo.
Il giovane Baliano di Ibelin non era un fabbro, e suo padre non si chiamava Goffredo, ma Barisano; il nome Barisano, evidentemente, era troppo simile a Baliano e rischiava di confondere gli spettatori. Allo stesso modo, l’affascinante regina Sibilla, di cui Baliano si innamora, era un’esperta di manovre politiche, interessata al denaro e al potere, sebbene il film ce la presenti come una donna altruista e romantica. Del resto, anche la storia d’amore tra Baliano e Sibilla è del tutto inventata.
Per contraddistinguere l’esercito musulmano, il regista e i suoi collaboratori hanno deciso di usare come vessillo il simbolo della mezzaluna, che è ancora presente sulla bandiera di diversi Stati a maggioranza islamica, come la Turchia. In realtà, furono proprio i Turchi dell’Impero ottomano ad adottare questo simbolo di tradizione greca, ma ciò avvenne diversi secoli dopo, nel 1453.
Il personaggio di Salah al-Din è presentato in maniera molto positiva, in accordo con le fonti arabe e, in parte, anche cristiane: grande stratega, capo carismatico, guerriero all’occorrenza spietato, ma capace di tolleranza e di rispetto verso i cristiani. Lo conferma la scena in cui il sultano, dopo aver conquistato Gerusalemme, entra nel palazzo del governo, semidistrutto a causa degli scontri; trovata una croce caduta a terra, la raccoglie e la pone sul tavolo.