Introduzione

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Gli schiavi sono uomini (I)

Seneca, Lettere a Lucilio 47, 1-6


Libenter ex iis qui a te veniunt cognovi familiariter te cum servis tuis vivere: hoc prudentiam tuam, hoc eruditionem decet. «Servi sunt.» Immo homines. «Servi sunt». Immo contubernales. «Servi sunt.» Immo humiles amici. «Servi sunt.» Immo [...]

La voce di Seneca è stata una delle più importanti della storia della filosofia latina. I filmati proposti intendono inquadrare il suo pensiero, per poi concentrarsi sulla sua originale riflessione sul tempo.

L’opera di Seneca rappresenta sicuramente una delle vette più alte della produzione filosofica latina. Il suo pensiero si inserisce nell’ambito delle filosofie ellenistiche, in particolare all’interno dello stoicismo. All’interno della sua ricerca (prevalentemente morale, pratica), Seneca affrontò frequentemente il tema del tempo e le sue riflessioni su questa affascinante tematica sono tra le più originali che l’autore ci abbia lasciato. Grazie al percorso antologico “Il senso del tempo” proposto dal tuo testo, ripercorri i passaggi fondamentali della sua teoria e prova a definire cosa sia il tempo per Seneca. Trovi che la sua teoria sia ancora attuale?

(*) Per i filmati contrassegnati con questo simbolo è necessaria la connessione web.

Ambitio

Il sostantivo ambitio deriva dal verbo ambire,  letteralmente «andare intorno» a qualcuno, «girare» da una persona all’altra per ottenere qualcosa. Nel suo senso più generale ambitio traduce quindi tanto l’azione del «darsi da fare», «brigare», quanto la disposizione d’animo che si accompagna a essa, ovvero il desiderio, l’aspirazione a qualcosa. Il campo di applicazione maggiore e peculiare del termine è però quello specifico della politica. Nella maggior parte delle fonti infatti ambitio indica l’azione del candidato che va intorno, gira da una persona all’altra per guadagnarne il favore, in altri termini il «giro elettorale» (scrive in merito Varrone in De lingua latina V, 28: «il candidato che gira - circum it - per il popolo, si dice che ambit»). Ambitio sarebbe dunque allo stesso tempo la «campagna elettorale» e la disposizione (solo riduttivamente traducibile con «ambizione») che il candidato deve possedere per compierla. Disposizione che, a seconda della misura in cui la si possiede e la si esercita, si connota come «buona». Cicerone vi fa spesso riferimento come al giusto «darsi da fare» dei boni cives per migliorare la propria posizione sociale e la propria auctoritas - oppure, molto più spesso, come un vitium - basti per tutti il caso paradigmatico di Catilina, dominato da un’incontenibile furiosa brama di potere. 

Scritta di propaganda elettorale sul muro di una casa in via dell’Abbondanza a Pompei. Le iscrizioni venivano fatte durante la notte dopo che il muro era stato preparato con un’imbiancatura a calce. A firmare i manifesti erano amici, parenti, sostenitori vari e a volte intere associazioni professionali. I secolo a.C., Pompei, via dell’Abbondanza, Sopraintendenza archeologica

Virtus

«Ma bada, anche se tutte le rette disposizioni dell’anima sono chiamate virtù (virtutes), questo non è il nome proprio di ciascuna di esse: semmai hanno tratto tutte il nome da quella che, sola, eccelleva su tutte. E invero virtus è chiamata così da vir (uomo), mentre propria del vir è innanzitutto la forza, le cui principali prerogative sono due, il disprezzo della morte e del dolore. Bisogna dunque praticare queste due se vogliamo essere in possesso della virtus, o meglio, se vogliamo essere viri» (Cicerone, Tusculanae disputationes II, 12, 43). A sua volta vir - che non è l’«uomo» nel senso di maschio, ma l’«uomo degno di questo nome» - per i Romani ha a che fare con vis, vires, la forza, la fertilità, il vigore, l’energia, la potenza (da cui le accezioni di virile, virilità ecc.), non solo in senso fisico ma principalmente in quello morale della «forza d’animo». Più precisamente, la virtus è l’energia, la capacità “buona” che manifesta nelle azioni la magnitudo animi («grandezza d’animo»), in ogni campo dell’attività umana: il soldato, l’oratore, il magistrato, il senatore, ma anche le donne, quelle sposate (matronae) e le giovani fanciulle (virgines), ciascuno insomma (e ciascun ruolo sociale) è contraddistinto dalla sua propria virtus, che sia, secondo una distinzione ciceroniana, «esecutiva», che si ascriva cioè al dominio del facere, o «decisionale», «deliberativa», che pertenga cioè al dominio del sentire, del «pensare bene e correttamente», della «decisione saggia».

Filosofo intento a conversare con le Muse Urania e Polimnia, III secolo d.C. Roma, Museo Nazionale Romano

Otium, Negotium

Otium e il suo negativo negotium (nec+otium= «assenza di otium») sono i termini attorno ai quali si definisce l’impiego del tempo da parte dei cittadini romani, la natura delle attività alle quali si dedicano e, sotto certi rispetti, il «modello di vita» cui aderiscono. Il primo termine indica il tempo libero dagli affari e dalle occupazioni, non però nel senso dell’inattività: otium è lo spazio della vita privata che il cittadino può dedicare ai suoi interessi e ad attività altre da quelle della vita pubblica (commercio, politica, etc.). Nel modello ideale (romano) di vita, quello arcaico del cittadino-contadino (contrapposto al mercante e all’affarista), otium è per esempio la porzione di tempo libera dall’attività agricola e destinata alla cura del patrimonio familiare; o ancora, nel modello propugnato da Cicerone, è il tempo che il cittadino (Cicerone stesso), una volta libero dagli impegni della vita pubblica, può finalmente dedicare allo studio (in particolare della filosofia) e alla cultura (produzione letteraria e poetica sono attività rese possibili solo dall’otium). Al contrario negotium designa «tutte le occupazioni umane che prevedono un impiego preciso e stabilito delle proprie giornate» (Viglietti, p. 246): dagli impegni forensi (come quelli dell’avvocato e del giudice) a quelli commerciali a quelli politici. Impegni tutti che lasciano poco tempo e, come avvertono i filosofi (in particolare Seneca), distraggono l’uomo dal “vero bene” e dalla “vera conoscenza” (la saggezza).

Mosaico policromo raffigurante sette filosofi, I secolo a.C., Napoli, Museo Archeologico Nazionale

Parsimonia

Fra i veteres mores, i costumi antichi, distintivi del modello ideale di civis romanus, spicca la parsimonia. Il termine deriva dal verbo parco «mi limito», «mi contengo» ed esprime un preciso rapporto con i beni materiali: l’attitudine al contenimento dei bisogni, la misura (modus) nel desiderio stesso di beni e ricchezze, attitudine molto apprezzata e produttrice di honos, pubblica approvazione e ammirazione, opposta a quella, rovinosa e sempre condannata dai Romani, della luxuria. Come ha mostrato Viglietti, lungi dal confondersi con la paupertas, condizione materiale di «possesso di poco»,  la parsimonia nasce dal riconoscimento dell’esiguità dei bisogni umani e da una conseguente moderazione, configurandosi così allo stesso tempo come orientamento morale e pratica di vita, identificabile in particolare nel modello ideale del civis-agricola -  il piccolo proprietario terriero, contadino del suo appezzamento - contrapposto a quello del commerciante-imprenditore. Scrive Cicerone a tal proposito: «gli uomini non si rendono conto di quale eccezionale rendita sia la parsimonia [...] Accontentarsi di quel che si ha rappresenta la ricchezza più grande e sicura» (Paradoxa Stoicorum 6.3.49, 51). Caso paradigmatico di questo vetus mos, exemplum non solo di parsimonia ma di strenua lotta contro luxuria, spreco e ostentazione, è Catone il Vecchio il quale, pur non essendo pauper, sempre si propose come modello di continenza in una Roma che si stava lasciando sedurre sempre più dai “corrotti” costumi orientali e dall’avidità di ricchezze.

Particolare di pittura parietale raffigurante due fichi e una forma di pane, I secolo a.C., Napoli, Museo Archeologico Nazionale

Dignitas

Il sostantivo dignitas descrive la qualità corrispondente all’aggettivo dignus, da cui deriva, ed entrambi sarebbero, secondo i moderni linguisti, da far risalire al verbo decet «si conviene», «si addice». Da un punto di vista semantico infatti, dignitas traduce la conformità fra ciò che viene realizzato e ciò che in quella situazione, in quel campo ci si aspetta che venga realizzato: a livello meramente estetico la «bellezza»; nel lessico  della retorica l’«armonia» fra contenuto-gesto-parole-voce dell’oratore; nel vocabolario politico i meriti di un candidato o anche la posizione che un uomo ha raggiunto nella sua carriera politica (cursus honorum). Campo d’elezione del termine è però quello morale-sociale: dignitas si attesta (accanto, fra gli altri, ad existimatio, fama, laus, gloria, fides, virtus)  nel vasto gruppo delle parole usate per definire e valutare l’individuo, le sue qualità morali, il suo comportamento e il posto che, come sanzione “pubblica” del comportamento stesso, gli viene riconosciuto all’interno della comunità. In tal senso dignitas è usato per indicare i sentimenti e il comportamento adeguati, convenienti e necessari, quelli che ci si aspetta da un dato uomo in una data situazione, la conformità di un atto con il personaggio che lo compie e con la situazione in cui lo compie, avvertita, tale conformità, come un obbligo da parte di ogni cittadino romano, e allo stesso tempo come un riconoscimento dovuto, in termini di rispetto, onore e prestigio sociale, da parte dell’opinione pubblica.

L’arringatore, II-I secolo a.C., Firenze, Museo Archeologico Nazionale

Il teatro dell'anima

Immagina di essere il curatore di una mostra e di utilizzare le cinque sale che hai a disposizione per presentare a un pubblico non esperto la produzione filosofica e letteraria di Seneca. Lo sche- ma digitale che hai a disposizione ha lo stesso funzionamento tecnico di PowerPoint; può quindi contenere testi, immagini, file audio, link a video (se presente il collegamento in rete). Utilizza tutto il materiale che hai a disposizione: le conoscenze acquisite, le letture, gli approfon- dimenti (Filo rosso, Cultura Letteratura Storia), i filmati, gli spaccati di antropologia Uomo Sacro Società, le schede sui generi letterari. Porta i tuoi visitatori attraverso un percorso che raccon- ta l’anima del filosofo, cercando di mettere in luce sia la “teoria” che Seneca spiega nelle sue opere (cui egli stesso tende) sia le incongruenze nelle quali è caduto (e che lo dimostrano più umano). 

Sala 1

Il filosofo e il principe: il difficile – ma stretto – rapporto tra Seneca e il principe

Sala 2

Che cosa significa essere liberi? L’indagine dell’interiorità in Seneca

Sala 3

L’uomo, il tempo e la morte: un difficile rapporto

Sala 4

Lettere a un amico: camminare con Lucilio sulla via della saggezza

Sala 5

La tragedia nascosta nell’animo umano: lettura e interpretazione delle tragedie di Seneca