A tavola con i Greci
I pasti frugali dell’Iliade lasciarono il posto a una stupefacente varietà di cibi. Pesce, crostacei, insalate, dolci e vino abbondante regnavano sovrani.
La mensa frugale degli eroi
Le notizie sull’alimentazione greca iniziano col ciclo dei poemi omerici. Nell’Iliade si mangiava seduti, il letto che compare nell’Odissea era ancora sconosciuto.
La vita conviviale si svolgeva in grande semplicità: gli stessi eroi, come facevano Achille e Patroclo nella loro tenda, preparavano il pasto serale e, dopo averlo consumato, pulivano e rimettevano in ordine tutto. Nelle dimore regali del XII secolo a.C. gli stessi re si occupavano di far arrostire sul focolare i pezzi di carne
da spartire con la propria corte e da soli si versavano il vino.
Nel corso del pasto i convitati prendevano i pezzi di cibo con le dita e lo mangiavano a morsi. Non vi erano né piatti né posate, ma solo coppe per bere il vino e coltelli affilati per tagliare l’arrosto. A leggere l’Iliade si ha l’impressione che i suoi eroi si nutrissero esclusivamente di manzo arrostito che a quei tempi si cuoceva sempre alla brace. Si mangiavano però anche capretti e agnelli. Gli eroi consumavano anche grandi pagnotte che venivano servite in larghe ceste. Si mangiava il formaggio e si condiva con l’olio.
Il grande assente dalle mense degli eroi della guerra di Troia era invece il pesce, ma del resto nel poema non si parla nemmeno di frutta o verdure che pure dovevano far parte della dieta normale: probabilmente questi cibi non sono menzionati perché erano considerati cibi troppo comuni, indegni degli eroi.
Panini diversi per stuzzicare il palato
Dal V secolo a.C. in poi l’alimentazione greca si arricchì e divenne estremamente varia: antipasti, pesce, crostacei, molluschi, verdure, insalate, frutta e dolci regnavano sovrani sulla tavola. In tutte le città della Grecia l’alimento base restò sempre il pane. Ne esisteva un grandissimo numero di tipi e se ne potevano contare ben 66 specie fatte con orzo o con frumento.
Platone, il filosofo ateniese, vissuto tra il V e IV secolo a.C., così scrive: «Gli uomini per nutrirsi prepareranno con orzo o con frumento della farina che faranno abbrustolire o impasteranno, ne faranno delle belle gallette e pani che serviranno su paglia o su foglie ben pulite».
I fornai si sbizzarrivano nel dare alla pasta forme attraenti e nell’insaporirla in modo stuzzicante con semi aromatici. Per insaporire il pane, si usavano semi di papavero; oppure semi come il cumino, il lino e il sesamo.
Una specialità molto apprezzata era il pane piatto, molle e spugnoso, che si mangiava inzuppato nel vino dolce. Veniva chiamato blema, parola che significa un tiro, un colpo ed era evidentemente un antenato del nostro “babà”.
Al mercato greco si trovava di tutto
Nel mercato greco del V secolo a.C. si trovava un po’ di tutto: diffusissimi erano i legumi, tra i quali molto usati erano i ceci e le fave che si mangiavano dopo cena. Vi erano poi molte verdure: la cipolla, il cavolo, le rape, la malva, la zucca. Né si possono dimenticare il cetriolo e i funghi. Vi era poi il cardo e varie insalate, tra cui la lattuga e la ruchetta. Si consumava una grande varietà di frutta: mele, pere, uva, quest’ultima soprattutto sotto forma di uva passa.
Si apprezzava moltissimo la frutta secca: noci, nocciole e mandorle. Dalle coste asiatiche arrivavano i dolcissimi datteri che venivano usati anche come dolcificanti. Ma il dolcificante per eccellenza del mondo antico era il miele.
Si consumava anche molto formaggio, ma poca carne, che era costosa, a eccezione di quella di maiale. Il pesce invece era un cibo abituale per tutte le popolazioni che vivevano vicino al mare; si mangiava fritto, bollito o arrosto. Prelibati erano i frutti di mare.
Le specialità locali non mancavano, come il brodo nero di Sparta di cui conosciamo gli ingredienti: sangue e carne di maiale, aceto e sale.
Ai Greci piaceva molto bere il latte (soprattutto quello di capra), il kykeon (acqua con farina d’orzo) e il vino. Il vino veniva bevuto quasi sempre mescolato con acqua, miele e aromi come il timo e la menta.
E dopo la bevuta, il tiro al bersaglio
Nelle abitazioni dei ricchi ai banchetti partecipavano solamente gli uomini.
Distesi sui letti afferravano il cibo con le mani e si asciugavano con la mollica del pane. Le donne invece erano ammesse solo in qualità di danzatrici.
Poteva anche capitare che qualche nuovo invitato si aggiungesse alla compagnia per partecipare alla seconda parte del banchetto, quella dedicata in particolare al bere.
D’altra parte il termine “simposio”, che noi traduciamo con banchetto, significa più propriamente riunione
di bevitori. Re del banchetto era il simposiarca: così era chiamato colui che aveva il compito di stabilire quanta acqua unire al vino. Quando terminava la cena si iniziava a bere in grandi coppe e i commensali cominciavano a giocare al cottambo, un gioco di abilità molto di moda: i giocatori, appoggiati al cuscino con il gomito sinistro, tenevano il proprio calice con la mano destra, pronti a scagliare il vino contenuto contro il
bersaglio.
Chi colpiva il bersaglio vinceva la posta in gioco che poteva consistere in una somma di denaro, gioielli o donne.