Per inquadrare correttamente il film 300 bisogna considerarne l’origine, che non si trova, come per la maggior parte dei film, in una sceneggiatura scritta appositamente per il cinema, oppure in un’opera letteraria preesistente, ma nasce da un “romanzo a fumetti” (graphic novel, in inglese) realizzato da Frank Miller negli anni Novanta.
È a questo artista che si deve gran parte del lavoro sulle vicende storiche fino a ottenere una ricostruzione piuttosto insolita, per molti versi discutibile.
Nel 2007 il regista Zack Snyder ha deciso di trasformare i disegni di Miller in un’opera cinematografica che conserva rispetto all’originale numerose caratteristiche, la più appariscente delle quali è la qualità visiva, cioè l’insieme degli elementi grafici, pittorici, figurativi che coniugano l’arte e la cultura della Grecia classica con gli stili contemporanei, efficacemente mescolati tra loro: dalla pop art ai graffiti urbani, dal gusto noir letterario e cinematografico ai fumetti manga con accenti gotici e dark. È questo un aspetto che, unito alla componente della violenza così presente nel fumetto e nel film, ha un grande impatto sullo spettatore e costituisce l’idea fondamentale su cui si basano entrambe le opere.
L’idea di fondo del disegnatore e del regista è che l’attendibilità storica debba cedere il passo all’immaginario che nel tempo si è stratificato intorno a quegli avvenimenti, e che gli elementi del racconto vadano selezionati secondo un criterio quasi esclusivamente estetico. Vestiti e acconciature si rifanno perciò ai ritrovamenti archeologici ma anche ai film in costume greco-romano degli anni Cinquanta. Le architetture e i paesaggi riprendono motivi ottocenteschi, ma rispecchiano anche le visioni apocalittiche di certe mitologie moderne, come i fumetti e i film dedicati ai supereroi. Insieme a dettagli storicamente fondati convivono invenzioni poco plausibili ma dotate di forza comunicativa, proprio perché radicate in qualcosa di familiare, in un modo di immaginare il passato altamente suggestivo, carico di risonanze e di emozioni diffuse nella cultura di massa.
In questa tendenza all’esagerazione, il re persiano Serse è raffigurato come vizioso ed effeminato, in ossequio alla tradizione che fin dall’antichità ci parla della “mollezza” dei costumi orientali. Seguendo il suggerimento di Erodoto, che nelle sue Storie ha accresciuto enormemente le dimensioni dell’esercito persiano, l’immensa Asia da cui i “barbari” provengono ci appare come una fonte inesauribile di popoli e di soldati, a giudicare dalle schiere che si estendono a perdita d’occhio davanti al passo delle Termopili.
Da quelle masse indistinte emergono guerrieri mostruosi degni di un romanzo fantasy e animali improbabili come i rinoceronti, che anche a quell’epoca erano una peculiarità dell’Africa centrale.
Il traditore Efialte, menzionato da Erodoto, è arbitrariamente trasformato in un individuo orribile nell’aspetto, in base al principio della kalokagathìa , diffuso nella cultura greca, secondo il quale bellezza e virtù si trovano sempre accompagnate in un uomo, così come bruttezza e cattiveria nel caso del traditore Efialte.
Su di lui il film imbastisce un retroscena di invidia e vendetta, che mette in risalto le regole ferree della società spartana, ma che non ha menzione nel resoconto dello storico greco. Come si vede, avvenimenti reali e leggende, trovate spettacolari e dati antropologici sono mescolati in un inestricabile amalgama, fortemente stilizzato, “fumettistico” nel vero senso della parola.
Lo sforzo di stilizzazione operato dagli autori porta inevitabilmente a sottolineare alcuni aspetti e a nasconderne altri, generando vistose incongruenze. Leonida si comporta come un potente sovrano, per quanto rispettoso dell’assemblea degli spartiati, e d’altra parte i 300 guerrieri mostrano una cieca fedeltà verso il loro “re”, ma questo porta a dimenticare che a Sparta vigeva una perfetta diarchia, e che quindi i re erano due.
Gli Spartani affermano di battersi per difendere un modello di civiltà basato sulla nozione di “libertà” greca e contro il modello assolutistico persiano, inducendo lo spettatore a credere che la Grecia non conoscesse l’istituzione della schiavitù e che l’aristocrazia spartana, di cui Leonida fu un autorevole esponente, non esercitasse lo schiavismo su intere classi sociali e sulle popolazioni vicine.
Si potrebbe continuare a lungo nel mettere in evidenza gli errori del film, alcuni persino buffi , come l’età di Leonida, che nell’anno della battaglia aveva 60 anni, perciò era più anziano di quanto dimostri di essere l’attore che lo interpreta.
È evidente che un Leonida attempato, con un fisico meno scultoreo, non avrebbe funzionato in un film dove l’elemento estetico – qui inteso anche come riferimento all’ideale di bellezza classico – è così preponderante. Proseguendo su questa strada si rischierebbe inoltre di ignorare il vero senso di 300.
L’obiettivo del film, e del fumetto che lo ha preceduto, non è quello di offrire una precisa ricostruzione storica, ma piuttosto quello di attualizzare il passato scavando nel nostro immaginario, mostrandoci nello stesso tempo quanto un episodio svoltosi nel 480 a.C. non solo sia presente e vitale nella nostra cultura, ma sia ancora in grado di parlarci e persino di emozionarci.