A partire da una vicenda autentica, trascritta nelle pagine del libro "Nelle terre estreme" di Jon Krakauer, Sean Penn si confronta direttamente col mito originario americano: l'incontro tra l'uomo e la natura selvaggia. Crea, a sua volta, un mito contemporaneo nel protagonista, giovane uomo dalla personalità al confine tra eroismo e fragilità, nevrosi e ricerca della purezza; un "picaro" dell'anima nipote elettivo dei cavalieri erranti della Beat Generation. Fa di più: osa realizzare un film sul valore della solitudine in un tempo che avverte la solitudine come il massimo pericolo, tanto da esorcizzarla di continuo con i telefonini, o con la "rete".
All'inizio degli anni 90, il neolaureato Christopher McCandless dà quel che ha in beneficenza e parte per un lungo viaggio, autentica performance dell'anima per la quale assume un nome d'arte: Alexander Supertramp, il Supervagabondo. Oltreché dalle pulsioni di libertà e anarchismo, è spinto a partire dal rifiuto della famiglia d'origine: cellula di giudizio e controllo sociale, di odio latente, di perfetta infelicità; tanto più spaventosa perché accettata come norma e condizione naturale. Tra Nuovo Messico, Arizona, Sud Dakota, su su fino alle nevose solitudini dell'Alaska, l'itinerario marca una serie d'incontri con l'altro, occasioni di conoscenza e comprensione anche reciproca. Alex s'accompagna a una coppia di hippies, la cui vita non è tutta rose e fiori; lavora in un'azienda agricola, diventando amico di un tale ricercato dalla polizia; flirta con una giovanissima cantante folk; incontra un vecchio eremita, che vuole adottarlo...
Tappa dopo tappa, però, il viaggiatore s'immerge sempre più nella solitudine, fino a sfidare le stesse possibilità di sopravvivenza: la wilderness è libertà e verità, ma rappresenta anche il rischio e la minaccia ultima…
(Tratto da: R. Nepoti, La Repubblica, 25 gennaio 2008)