Il santo è riconoscibile per la croce di legno legata da un nastro annodato che allude al suo martirio: egli, infatti, fu crocifisso a testa in giù, senza l’ausilio dei chiodi, bensì legato alla croce per mezzo di funi. L’immagine pone l’accento sull’umiltà del personaggio, che accoglie la Grazia – simboleggiata dalla luce proveniente dall’alto – in un atteggiamento di raccolta sottomissione. Stringendo una croce palesemente povera – due semplici bastoni tenuti insieme da un legaccio – sembra voler dire: «Sia fatta la volontà di Dio».
L’opera, di poco successiva rispetto alla precedente, e sempre di ambito francese, ne riprende gli stilemi iconografici presentando tuttavia un’immagine molto diversa dell’apostolo. Qui egli regge una grande croce perfettamente levigata e, pur se sobriamente vestito, rifugge tuttavia da un ostentato pauperismo: si noti, per esempio, l’ampio panneggio del candido manto, di sapore classicistico. La luce della Grazia, proveniente dall’alto, illumina in pieno l’apostolo e il simbolo del suo martirio.
a cura di Charles F. Horne e Julius A. Bewer, vol. IX, Niglutsch, New York 1910.
L’opera illustra puntualmente un passo del Vangelo di Giovanni: “Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti, Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret». Natanaele gli disse: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi»”. (Giovanni 1,45-46).
Il libro X delle Memorie Apostoliche di Abdia (VI-VII secolo) riferisce che Filippo, in Scizia, fu condotto davanti alla statua di Marte e gli fu chiesto di compiere un sacrificio, ma dalla statua uscì un drago che uccise alcuni dei presenti e poi, col suo alito, fece ammalare gli astanti. Filippo allora allontanò il dragone, resuscitò i morti e guarì coloro che erano stati contaminati dalle esalazioni della diabolica creatura.
L’opera accoglie la versione secondo cui Filippo fu crocifisso legato con delle funi e con la testa in alto, ma sappiamo da altre fonti che sarebbe stato crocifisso a testa in giù – come san Pietro – e lapidato mentre era disteso sulla croce. Il gran numero di rovine classiche presenti nel dipinto – capitelli rovesciati, colonne spezzate, rovine su cui già spunta l’erba – alludono al crollo del paganesimo.
In epoca barocca, il tema del martirio assume toni decisamente più crudi e drammatici. L’apostolo – privo della barba, il che contribuisce a conferirgli un aspetto decisamente inerme, ponendone in risalto il volto emaciato e patito – è issato con sforzo palese sulla croce per mezzo di un sistema di funi. L’accurata descrizione anatomica, il torace con il costato in evidenza, la carnagione livida, accrescono il pathos della scena.
1746, bronzo, Versailles, Cappella reale, altare di san Filippo.
L’iconografia, piuttosto rara, accoglie la versione secondo cui Filippo fu legato a una croce con delle funi, poi, mentre era ancora disteso, venne lapidato.