Il profeta Giona

La figura del profeta

Il particolare dell'alberello

Le mani del profeta

Il pesce
Il personaggio
Un «profeta Giona» [in ebraico
Yona "colomba, ma anche "Dio risponderà"] «figlio di Amittai», che parla «secondo la parola del Signore Dio di Israele», è citato nel Secondo libro dei Re (14, 25) all’epoca di Geroboamo II (sec. VIII a.C.).
È probabile che un autore posteriore all’esilio (secc. V-IV a.C.) si sia ispirato a qualche antica leggenda e l’abbia adattata al suo pensiero nel redigere quello che, nella Bibbia, è giunto a noi come il Libro di Giona, composto da appena quattro capitoli.
Malgrado la sua brevità, grazie agli elementi fantastici che lo costituiscono, questo libro è uno dei più noti di tutto l’Antico Testamento.
Vi si narra di come Yahweh incaricò il profeta Giona di recarsi nella città pagana di Ninive allo scopo di predicare la conversione e la penitenza. Giona, in disaccordo con Dio sull’opportunità di predicare la salvezza ai pagani – e qui si evidenzia subito il carattere del tutto eccezionale di questo personaggio – decise invece d’imbarcarsi alla volta di Tarsis.
Durante il viaggio per mare, la nave fu investita da uno spaventoso uragano e i marinai pensarono che la tempesta si fosse scatenata a causa di qualcuno imbarcato sulla nave. Decisero così di tirare a sorte per individuare chi fosse il responsabile: venne sorteggiato Giona, che fu gettato in mare. La tempesta si placò, mentre Giona, inghiottito da un grosso pesce, rimase nel suo ventre per tre giorni. Dal ventre del pesce, Giona elevò una lunga preghiera al Signore, conclusa con la promessa di fare ciò che Dio gli aveva chiesto, «perché la salvezza viene dal Signore» (2, 10). Al termine dei tre giorni il pesce vomitò il Profeta sulla terraferma. Avendo capito di dover compiere la volontà di Dio, Giona andò a predicare a Ninive, minacciando la distruzione della città da parte della collera divina. Contrariamente a ogni aspettativa, tutti gli abitanti si convertirono immediatamente, facendo penitenza. Dio, allora, «si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece» (3, 10).
Riaffiora a questo punto il peculiare carattere di Giona che, profondamente irritato, discute con Dio: «Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per ciò mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato. Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!». Ma il Signore gli rispose: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?» (4, 2-4). Giona, stizzito, andò a riposarsi all’ombra di un alberello di ricino. Dio fece seccare l’albero e in risposta alle vivaci rimostranze del Profeta, ribatté: «Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita: e io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone […] ?» (4, 10-11).
Il racconto possiede, con ogni evidenza, tutte le caratteristiche di una parabola. Attraverso la figura di Giona, che tenta di sottrarsi alla missione affidatagli da Dio, l’autore deplora la condotta di Israele, che ritiene suo esclusivo privilegio essere il popolo di Dio: poiché Dio è uno solo, Egli non è soltanto il Dio dei giudei, bensì anche il Dio dei pagani.
Il racconto ha però un’altra importante implicazione, che rimanda al Nuovo Testamento. Nel vangelo di Matteo, infatti, è Gesù stesso a citare l’episodio di Giona come una sorta di preannuncio della propria morte e resurrezione tre giorni dopo la sepoltura: come Giona era rimasto tre giorni nel ventre del pesce.
Allora alcuni scribi e farisei lo interrogarono: «Maestro vorremmo che tu ci facessi vedere un segno». Ed egli rispose: «Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. Quelli di Ninive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c’è più di Giona!».
Matteo 12, 38-41
La parola del profeta
Ma il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti.
Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore suo Dio
e disse:
"Nella mia angoscia ho invocato il Signore
ed egli mi ha esaudito;
dal profondo degli inferi ho gridato
e tu hai ascoltato la mia voce.
Mi hai gettato nell'abisso, nel cuore del mare
e le correnti mi hanno circondato;
tutti i tuoi flutti e le tue onde
sono passati sopra di me.
Io dicevo: Sono scacciato
lontano dai tuoi occhi;
eppure tornerò a guardare il tuo santo tempio.
Le acque mi hanno sommerso fino alla gola,
l'abisso mi ha avvolto,
l'alga si è avvinta al mio capo.
Sono sceso alle radici dei monti,
la terra ha chiuso le sue spranghe
dietro a me per sempre.
Ma tu hai fatto risalire dalla fossa la mia vita,
Signore mio Dio.
Quando in me sentivo venir meno la vita,
ho ricordato il Signore.
La mia preghiera è giunta fino a te,
fino alla tua santa dimora.
Quelli che onorano vane nullità
abbandonano il loro amore.
Ma io con voce di lode offrirò a te un sacrificio
e adempirò il voto che ho fatto;
la salvezza viene dal Signore".
E il Signore comandò al pesce ed esso rigettò Giona sull'asciutto.
Giona 2, 1-11