Titiro e Melibeo
Virgilio, Bucolica, I
Il vecchio di Corico
Virgilio, Georgiche IV, 116-138
Virgilio era già percepito dai suoi contemporanei come uno dei più grandi poeti della romanità. La proposta di questi filmati e delle corrispettive attività vuole portarti a indagare le sue opere più significative.
Nel video Due intellettuali alla scuola di Epicuro, si afferma che il punto di approdo della produzione di Virgilio si incentri sulla figura di Enea “l’eroe che osserva con scrupolo e dolore la volontà del fatum”.
Partendo dalla visione di entrambi i filmati proposti e facendo riferimento alle tue conoscenze, prova a spiegare cosa rappresenta questo personaggio rispetto al percorso filosofico che Virgilio intraprende nelle sue opere. Enea si può definire un eroe epicureo?
Grazie alla visione del filmato Incontro con Maurizio Bettini - La IV Ecloga di Virgilio fra Principato e Cristianesimo puoi assistere ad un’interessante lezione di Maurizio Bettini - docente di Filologia classica nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena - riguardante la IV Ecloga di Virgilio.
Durante tale relazione, Bettini si concentra sull’analisi della fortuna di questo testo, attraverso l’esposizione delle diverse interpretazioni che gli sono state attribuite nel corso della storia.
Dopo aver ascoltato con attenzione, prova a riassumere schematicamente le ragioni della rilevanza culturale e antropologica della IV Ecloga: che caratteristiche possiede questo testo per essere diventato tanto famoso? Quali fattori sono intervenuti a renderlo il centro di un’accesa discussione interpretativa?
(*) Per i filmati contrassegnati con questo simbolo è necessaria la connessione web.
Pietas
Lo studioso francese Boyancé ha scritto che, a una ipotetica intervista sul carattere distintivo del suo Paese, un Romano non avrebbe esitato a indicare come il segreto della fortuna e del potere di Roma, ragione del favore che gli dèi le avrebbero accordato, la pietas, così come Virgilio non esitò a opporre ai greci Ulisse e Achille il modello eroico romano del «pio Enea» (pius Aeneas). La pietas è, di fatto, il più tipico dei valori romani, uno dei valori su cui i Romani costruiscono e rappresentano la loro identità e la loro cultura. Se infatti è vero che i Romani indicano come motivo della loro superiorità sugli altri popoli la religio (solo riduttivamente traducibile come obbedienza e adesione alla volontà divina realizzata attraverso la stretta osservanza del culto e l’esecuzione scrupolosa dei riti), è vero altresì che la pietas costituisce l’aspetto “psicologico”, affettivo ed emozionale della religio stessa: essa è il sentimento di rispetto e dovere nei confronti innanzitutto degli dèi e poi degli uomini (nell’ordine: dèi, patria, antenati, genitori e via dicendo), la disposizione d’animo che induce ad assolvere i propri obblighi verso gli altri. Essa è dunque sì un sentimento, ma agisce come principio propulsore del comportamento (le fonti presentano la pietas come sentimento necessario a produrre, sul piano delle relazioni umane, il rispetto della fides, ovvero della reciproca correttezza) e dunque strumento fondamentale di controllo sociale.
Enea, Anchise e Ascanio. Anchise, avvolto nel mantello, reca in mano la teca con i Penati, I secolo a.C., Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Fatum
Il sostantivo fatum deriva dal participio del verbo fari, un verbo antico e di grande importanza nella cultura romana. L’azione indicata da fari costituisce un atto speciale di parola, un enunciato che, nel momento stesso in cui viene pronunciato, si realizza. In altri termini, quando qualcuno fatur, ovvero parla nella modalità del fari, quello che dice non rimane nel semplice piano della parola, ma passa immancabilmente a un piano concreto di realtà: accade così come è stato pronunciato. Appartengono a quest’ordine di enunciati le profezie (ciò che il profeta preannuncia accade) e le sentenze di giustizia e le leggi (ciò che la legge prescrive “deve” realizzarsi). E da quest’ordine di enunciato deriva il termine che indica il destino, quello che nemmeno gli dèi possono stornare perché, in quanto fatum – pronunciato nella modalità del fari, della parola efficace che si realizza immancabilmente – accadrà per forza. Come scrive Varrone: «Da ciò, dal fatto che le Parche parlando (fando) stabiliscono il tempo destinato a ogni bambino, si dice fato (fatum) e avvenimenti fatali (res fatales)» (De lingua latina VI, 7, 52).
Antro della Sibilla, IV – III secolo a.C., acropoli di Cuma, Sopraintendenza archeologica
Religio
Del termine religio i Romani fornivano tre spiegazioni. La prima lo faceva risalire al verbo relegere: «coloro che trattavano con cura e, per così dire, riprendevano (relegerent) tutto ciò che riguarda il culto degli dèi furono detti religiosi da relegere» (Cicerone, De natura deorum II, 72). La seconda legava il termine alla nozione di vincolo: «un’altra diramazione, per così dire, del significato portò a usare religiosus nel senso di virtuoso, osservante, che si vincola a determinate leggi e limiti» (Gellio, Noctes Atticae, IV, 9, 3) e ancora «siamo legati e costretti (religati) a dio da tale vincolo del sentimento religioso. Da ciò ha preso il nome la religio stessa» (Lattanzio, Institutiones Divinae, IV, 28).
La terza derivava religio dal verbo relinquere, «separare»: «religiosus è qualcosa che per il suo carattere sacro è lontano e separato da noi, e il vocabolo deriva da relinquo [...]. Secondo questa interpretazione di Sabino, i templi e i santuari sono chiamati religiosa perché a essi si accede non come folla indifferente e distratta, ma dopo una purificazione e nella dovuta forma, e devono essere più riveriti e temuti che non aperti al volgo» (Gellio, Noctes Atticae IV, 9, 9). Da queste tre spiegazioni emergono i tratti che secondo i Romani “definivano” la religio: atto (o insieme di atti) di culto (eseguito scrupolosamente, correttamente) e insieme disposizione d’animo “pia”, sentimento di devozione, rispetto e adesione “sentimentale” alle parole e ai gesti del rito stesso.
Scena di sacrificio con uccisione rituale del toro, decorazione del lato frontale dell’altare, tempio di Vespasiano a Pompei, I secolo d.C., Sopraintendenza archeologica
Omnia vincit amor
Immagina di essere il curatore di una mostra e di utilizzare le cinque sale che hai a disposizione per presentare a un pubblico non esperto i rapporti tra labor e furor che emergono nei versi di Virgilio. Lo schema digitale che hai a disposizione ha lo stesso funzionamento tecnico di Power- Point; può quindi contenere testi, immagini, file audio, link a video (se presente il collegamento in rete). Utilizza tutto il materiale che hai a disposizione: le conoscenze acquisite, le letture, gli appro- fondimenti (Filo rosso, Cultura Letteratura Storia), i filmati, gli spaccati di antropologia Uomo Sacro Società, le schede sui generi letterari. Porta i tuoi visitatori attraverso un percorso che va dalla tranquillità del paesaggio bucolico al frastuono del campo di battaglia.
Sala 1
Amore nel paesaggio delle Bucoliche: armonia di natura e sentimenti o contrapposizione?
Sala 2
La società delle api: vivere in un mondo perfetto, sotto il segno del labor
Sala 3
Labor e furor: l’episodio di Orfeo e Aristeo
Sala 4
Labor e furor: la vicenda d’amore di Enea e Didone
Sala 5
Tra labor e Fatum: vivere nella storia
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