Sin dal Medioevo, l’immagine dell’apostolo con la propria pelle in mano domina nell’iconografia: in questa immagine, con il dito indice levato, come in segno di ammonimento, stringe fortemente nella destra le sue spoglie mortali. Il manto azzurro che lo avvolge è simbolo della beatitudine celeste, giusto premio al suo sacrificio.
La tradizione iconografica di san Bartolomeo che porta sulle spalle la propria pelle come fosse un mantello e stringe in mano il coltello, simbolo del suo martirio, prosegue ininterrotta dal Medioevo al Rinascimento. Con quest’opera siamo quasi alle soglie del Cinquecento, secolo che, con il Bartolomeo di Michelangelo, darà l’immagine più memorabile dell’apostolo. Si noti qui il contrasto tra il volto del santo e il resto del corpo, la cui tonalità rossiccia rimanda al cruento supplizio dello scorticamento.
L’opera di Marco d’Agrate, allievo di Leonardo, esposta all’interno del Duomo di Milano, è forse una delle più impressionanti raffigurazioni di san Bartolomeo, caratterizzata dalla minuta precisione anatomica con cui viene reso il corpo umano privo della pelle, che è scolpita drappeggiata intorno alla figura, con la pelle della testa penzolante sulla schiena.
Ancora nel Settecento vive l’immagine di Bartolomeo con sottobraccio la pelle e in mano il coltello, strumento del suo martirio. Il mantello, anziché azzurro come nella miniatura medievale del British Museum sopra riportata, è d’oro, ma non muta il significato simbolico del colore.
Si tratta del celebre episodio in cui, in India, l’apostolo fece crollare i simulacri del dio Astaroth, contro il quale si era scagliato in vibranti predicazioni. Come si vede nell’immagine, il santuario del dio era meta di numerosi pellegrinaggi, ma dopo i miracoli operati dall’apostolo si verificarono delle conversioni di massa che irritarono alquanto i sacerdoti del dio pagano, i quali alla fine riuscirono a fare arrestare Bartolomeo e a farlo condannare a morte.
L’atroce supplizio di Bartolomeo, scorticato vivo come viene tramandato da alcune fonti apocrife, sollecitò particolarmente la fantasia degli artisti sin dal Medioevo. Qui vediamo due aguzzini, armati di coltello, intenti a incidere la pelle dell’apostolo, mentre un terzo, con evidente sforzo, strappa la pelle dalla carne viva.
L’opera accoglie la versione del martirio di Bartolomeo fornita dalla Legenda aurea di Jacopo da Varazze (secolo XIII), secondo cui Bartolomeo fu dapprima crocifisso e poi scorticato vivo sulla croce.
Legato alla colonna come Gesù Cristo, Bartolomeo viene scorticato dai suoi torturatori. L’accurata descrizione anatomica viene emotivamente rafforzata dallo sforzo evidente dell’aguzzino intento a strappare la pelle dal ginocchio.
Fortemente drammatica è la rappresentazione del martirio da parte di Giambattista Tiepolo. L’apostolo, con una violenta torsione del busto, sembra volgersi verso una fonte di luce proveniente dall’alto – la luce della Grazia, che già investe il suo povero corpo martoriato – nel momento stesso in cui i suoi aguzzini si accingono al loro macabro lavoro.
L’opera fa riferimento a un episodio relativo a san Bartolomeo narrato dalla Legenda aurea di Jacopo da Varazze (XIII secolo): una donna aveva portato in chiesa un vaso pieno di olio per alimentare la lampada davanti alla pala di san Bartolomeo (raffigurato, in ossequio alla tradizione, con il coltello in mano), ma per quanto ve lo rovesciasse sopra non ne usciva neppure una goccia. Esclamò allora uno dei presenti: «Forse l’apostolo non gradisce che quest’olio sia versato nella sua lampada». Infatti l’olio uscì dal vaso non appena fu rovesciato su un’altra lampada.