L’opera raffigura l’incontro tra Gesù risorto e Giacomo accennato nella Prima Lettera ai Corinzi (15,7) e narrato dall’apocrifo Vangelo degli Ebrei, nel quale si afferma che Gesù risorto apparve a Giacomo e gli somministrò la comunione per mezzo del pane consacrato. Ma un ulteriore significato dell’iconografia è collegato alla leggenda secondo la quale, dopo la morte di Gesù, Giacomo fece voto di consacrarsi a un digiuno totale. Era ormai allo stremo delle forze quando Gesù stesso gli apparve, fece apparecchiare una tavola, prese il pane, lo benedisse e lo diede all’apostolo perché riprendesse a cibarsi.
L’opera mostra l’apostolo ormai esanime, con il capo fracassato, mentre il sommo sacerdote Hanan, con un piede, lo scuote per accertarsi del decesso. In alto a sinistra si vede l’assassino con in mano l’arma del delitto, un bastone da follatore. Dice infatti Eusebio da Cesarea nella sua Storia Ecclesiastica: “Mentre lo lapidavano, […] uno di loro, un follatore, preso il legno con cui batteva i panni, colpì sulla testa il Giusto, che morì martire in questo modo”.
Un angelo regge in mano il bastone da follatore, simbolo del martirio del santo apostolo. Si noti la somiglianza del volto di Giacomo con il classico repertorio iconografico del volto di Gesù, in base alla famosa somiglianza fisica dell’apostolo con il Messia.
L’iconografia presenta il santo con i tradizionali attributi del Libro delle Scritture e dello strumento del suo martirio, in questo caso il bastone. La sobrietà cromatica e l’elegante linearismo gotico conferiscono alla figura un sapore sottilmente aristocratico.
L’apostolo Filippo e Giacomo il Minore, le cui reliquie furono deposte insieme nella Chiesa dei Dodici Apostoli a Roma, vengono spesso raffigurati congiuntamente.
L’artista pone nel massimo risalto il Libro delle Scritture, classico attributo degli apostoli, ma nel caso di Giacomo il Minore può esservi un rimando, cui forse allude anche il gesto dimostrativo della mano, alla “Lettera di Giacomo”, la prima delle “lettere cattoliche” incluse nel Nuovo Testamento.
Giacomo, miseramente vestito, è raffigurato in un atteggiamento di cupa austerità. Persino il bastone, simbolo del suo martirio, appare come un legno grezzo e rozzo, tenuto in pugno da una mano nodosa dalle unghie sporche. Una ricerca di esasperato realismo che mira a porre in risalto l’interiorità del santo, assorto unicamente nella sua fede in Cristo.
L’artista riprende il filone di gusto “pauperista” dell’iconografia jacopea inaugurato da El Greco, benché attenuato rispetto all’esempio di La Tour. Sullo sfondo, appoggiato al muro, il bastone del martirio, mentre spicca in primo piano il Libro delle Scritture.
Alla fine del XVII secolo, e poi per tutto il Settecento, si afferma, in luogo del filone “pauperista” del Greco, di La Tour e Zurbarán, un’immagine jacopea decisamente monumentale e vigorosa, di forte impatto scenografico.
La classica iconografia pone in risalto il Libro delle Scritture e il bastone del martirio, mentre l’ampio panneggio si modella potentemente intorno alla figura, come percorso da una vibrante energia interiore che si ripercuote nel gesto della mano e nel vigoroso modellato della barba e delle ciocche dei capelli.