Matteo, soprannominato Levi, è una variante di “Mattia” che, in greco, deriva dall’ebraico “Matthanja”, cioè “dono di Dio”. Figlio di Alfeo, viveva a Cafarnao, ove svolgeva le funzioni del pubblicano, cioè dell’esattore delle imposte (in latino, pubblicum indicava il tesoro dello stato). Quando Gesù lo chiamò, abbandonò immediatamente il suo lavoro per diventare uno degli apostoli, nonché l’autore di uno dei quattro Vangeli canonici.
A differenza degli altri evangelisti, che hanno degli animali come emblemi, il suo attributo è l’angelo. Questa forma umana allude al fatto che il Vangelo di Matteo inizia con la genealogia terrena di Gesù, ponendone così in risalto l’umanità. Un ulteriore elemento di originalità del suo Vangelo consiste nell’avere raggruppato la vita e l’insegnamento di Gesù intorno a cinque nuclei, o cinque “parole di Gesù”: il discorso della montagna (Matteo 5-7), la missione dei discepoli (10), le parabole del Regno (13), i consigli di vita fraterna (18), il discorso escatologico (25-25).
Sulle circostanze della sua morte secondo alcune fonti si trattò di un evento naturale; secondo altre, invece, fu decapitato o bruciato vivo. Alcuni testi sostengono che, dopo Pentecoste, svolse la sua missione evangelizzatrice in Siria, Macedonia, Irlanda. La versione più diffusa, alla quale fa riferimento gran parte dell’iconografia, sostiene invece che fu attivo come evangelizzatore in Etiopia. La Legenda aurea di Jacopo da Varazze (secolo XIII), racconta che, in quel paese, convertì il re Egippo e ne risuscitò la figlia Ifigenia, la quale volle consacrarsi a Dio facendo voto di verginità. Irtaco, successore di Egippo, concepì il desiderio di sposare Ifigenia, e poiché Matteo sostenne fieramente l’opposizione della ragazza, lo fece trafiggere con la spada sull’altare mentre celebrava la messa.