Non è chiaro quando Paolo si sia trasferito da Tarso a Gerusalemme, tuttavia, circa gli anni della sua giovinezza, l’apostolo stesso afferma di essere cresciuto alla scuola gerosolimitana di Gamaliele, uno stimatissimo dottore della legge qualificato come rabban, rango più elevato rispetto al rabbino.
Io sono un giudeo, nato a Tarso in Cilicia, ma educato in questa città [Gerusalemme], formato alla scuola di Gamaliele nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri, pieno di zelo per Dio.Atti degli Apostoli 22,3
Prima della conversione al cristianesimo, Paolo si mostra particolarmente zelante nella persecuzione ebraica contro i cristiani. Qui è raffigurato sulla destra mentre custodisce le vesti dei lapidatori di santo Stefano, primo martire cristiano, come egli stesso confessa negli Atti degli Apostoli:
Signore, […] quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anche io ero presente e approvavo, e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano.Atti degli Apostoli 22,19-20
È lo stesso Paolo a descrivere le circostanze in cui avvenne la sua conversione:
Io perseguitai a morte questa Via [il cristianesimo], incatenando e mettendo in carcere uomini e donne, come può darmi testimonianza anche il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro avevo anche ricevuto lettere per i fratelli e mi recai a Damasco per condurre prigionieri a Gerusalemme anche quelli che stanno là, perché fossero puniti.
Mentre ero in viaggio e mi stavo avvicinando a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?» Io risposi: «Chi sei, o Signore?» Mi disse: «Io sono Gesù il Nazareno, che tu perséguiti». Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava. Io dissi allora: «Che devo fare, Signore?» E il Signore mi disse: «Àlzati e prosegui verso Damasco; là ti verrà detto tutto quello che è stabilito che tu faccia».Atti degli Apostoli 22,4-10
Folgorato sulla via di Damasco dalla rivelazione divina, Paolo perde la vista. Giunto in città, viene avvicinato da Anania, uno dei settantadue discepoli inviati da Gesù a predicare nel mondo (Luca 10,1 sgg.), che gli fa recuperare la vista.
Saulo allora si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco. Per tre giorni rimase cieco e non prese né cibo né bevanda.
C’era a Damasco un discepolo di nome Anania. Il Signore in una visione gli disse: «Anania!». Rispose: «Eccomi, Signore!». E il Signore a lui: «Su, va’ nella strada chiamata Diritta e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco, sta pregando e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire e imporgli le mani perché recuperasse la vista». Rispose Anania: «Signore, riguardo a quest’uomo ho udito da molti quanto male ha fatto ai tuoi fedeli a Gerusalemme. Inoltre, qui egli ha l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome». Ma il Signore disse: «Va’, perché egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: «Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo». E subito gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista.Atti degli Apostoli 9,8-18
Subito dopo avergli miracolosamente restituito la vista, Anania battezza Paolo.
Egli [Anania] soggiunse: «Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. E ora, perché aspetti? Àlzati, fatti battezzare e purificare dai tuoi peccati, invocando il suo nome».Atti degli Apostoli 22,14-16
Dopo la conversione e il battesimo ricevuto da Anania, Paolo si ritira nel deserto a sud di Damasco, ove trascorre circa tre anni. Forse proprio in questo periodo avviene quanto egli, usando la terza persona, narra di se stesso:
So che un uomo, in Cristo, quattordici anni fa – se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest’uomo – se con il corpo o senza corpo non lo so, lo sa Dio – fu rapito in paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare.Seconda Lettera ai Corinzi 12, 2-4
Pur non avendo conosciuto direttamente Gesù, come gli altri apostoli, Paolo esperisce eventi eccezionali come la folgorazione sulla via di Damasco e la contemplazione estatica della realtà divina “fino al terzo cielo”, cioè in Paradiso.
Dopo il ritiro nel deserto, Paolo torna a Damasco per un certo tempo, predicando con entusiasmo il messaggio cristiano agli ebrei. Questi però tramano per ucciderlo e Paolo viene aiutato a fuggire dai suoi discepoli, che lo calano nottetempo in una cesta facendolo uscire dalle mura cittadine. Da Damasco Paolo si reca poi a Gerusalemme.
A Damasco, il governatore del re Areta aveva posto delle guardie nella città dei Damasceni per catturarmi, ma da una finestra fui calato giù in una cesta, lungo il muro, e sfuggii dalle sue mani.Seconda Lettera ai Corinzi 11,32-33
Giunto a Gerusalemme da Damasco, Paolo, mentre prega nel Tempio, ha la visione di Gesù che lo esorta a lasciare la città e gli preannuncia quella che sarà la sua speciale missione evangelizzatrice “tra i pagani”, cioè i non ebrei. In evidenza, nell’opera, l’elmo, lo scudo e le armi, che alludono alla fase della vita di Paolo precedente la conversione, quando era un accanito persecutore dei cristiani.
Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi e vidi lui che mi diceva: «Affrettati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me. […] Va’, perché io ti manderò lontano, alle nazioni».Atti degli Apostoli 22,17-21
A Gerusalemme, Paolo non è bene accolto dalla comunità dei fedeli, diffidente a causa dei suoi trascorsi di accanito persecutore anticristiano, e solo grazie all’intervento di Barnaba, ex levita di indiscussa autorità che si rende garante per lui, i dubbi, se non del tutto dissipati, vengono almeno sopiti. Ma Paolo, avversato dagli ebrei e sospetto ai cristiani, non si trova a suo agio e, bisognoso di una pausa di riflessione, ritorna a Tarso, sua città natale, ove rimane presumibilmente dal 39 al 43, riprendendo l’antico mestiere di tessitore.
Mentre Paolo si trova a Tarso viene raggiunto da Barnaba, che intende farne un suo collaboratore e lo conduce ad Antiochia, ove per la prima volta i discepoli di Gesù vengono detti “cristiani”: “[Paolo e Barnaba] rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa e istruirono molta gente. Ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani” (Atti degli Apostoli 11,26). Dopo un certo tempo, Paolo, in compagnia di Barnaba, parte per il primo dei suoi tre viaggi missionari, collocabile nella seconda metà degli anni 40 e durato dai due ai cinque anni. Le regioni toccate sono Cipro e la Galazia, attuale Turchia centrale. Una tappa del viaggio è Listra, in Licaonia, ove Paolo guarisce miracolosamente un paralitico.
C’era a Listra un uomo paralizzato alle gambe, storpio sin dalla nascita, che non aveva mai camminato. Egli ascoltava Paolo mentre parlava e questi, fissandolo con lo sguardo e vedendo che aveva fede di esser salvato, disse a gran voce: «Àlzati, ritto in piedi!». Egli balzò in piedi e si mise a camminare.Atti degli Apostoli 14,8-10
Gli abitanti di Listra, impressionati dalla guarigione del paralitico, scambiano Paolo per Ermes e Barnaba per Zeus. Vorrebbero offrire loro dei sacrifici, ma i due si strappano le vesti gridando alla folla di essere uomini normali.
La gente allora, al vedere ciò che Paolo aveva fatto, si mise a gridare in dialetto licaònio: «Gli dèi sono scesi tra di noi in figura umana!». E chiamavano Bàrnaba “Zeus” e Paolo “Hermes”, perché era lui a parlare.
Intanto il sacerdote di Zeus, il cui tempio era all’ingresso della città, recando alle porte tori e corone, voleva offrire un sacrificio insieme alla folla. Sentendo ciò, gli apostoli Bàrnaba e Paolo si strapparono le vesti e si precipitarono tra la folla, gridando: «Uomini, perché fate questo? Anche noi siamo esseri umani, mortali come voi, e vi annunciamo che dovete convertirvi da queste vanità al Dio vivente».Atti degli Apostoli 14,11-15
Dopo il ritorno ad Antiochia scoppia un dissidio nella comunità cristiana che porta al cosiddetto “concilio di Gerusalemme” (Atti degli Apostoli 15,1-35; Lettera ai Galati 2,1-9). All’epoca, le comunità cristiane erano composte perlopiù dai cosiddetti giudeo-cristiani, ebrei convertiti che accettavano le prescrizioni della Legge, fra cui la circoncisione. I pagani, invece, estranei alla tradizione ebraica, non erano circoncisi, perciò molti giudeo-cristiani sostenevano la necessità di imporre loro questa particolare norma. Paolo e Barnaba, contrari a tale richiesta, si recano a Gerusalemme ove ha luogo quello che la tradizione indica come il primo concilio, conclusosi, in sostanza, con la vittoria di Paolo e una sorta di “patto” tra la comunità di Gerusalemme, rappresentata da Pietro, Giovanni e Giacomo, e quella di Antiochia, con Paolo e Barnaba: “Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me [Paolo] e a Barnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi” (Lettera ai Galati 2,9).
Cionondimeno, i giudeo-cristiani continuano a considerare i pagani convertiti come dei cristiani di seconda categoria, arrivando a scindere la mensa eucaristica per le due comunità. Pietro si lascia coinvolgere in questa separazione e per questo viene apertamente ripreso da Paolo. È il cosiddetto “incidente di Antiochia”, riferito da Paolo, il quale coglie l’occasione per ribadire con fermezza che “l’uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo”:
Ma quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?».Lettera ai Galati 2,11-14
Intorno al 50 si colloca il secondo viaggio di Paolo, che nel corso di circa tre anni tocca la Galazia del sud, la Macedonia e la Grecia. Dopo un soggiorno ad Antiochia, verso il 54 ha inizio il terzo viaggio, durato circa quattro anni, che lo porta in Grecia e in Turchia. Nel corso di questi viaggi, Paolo scrive alcune delle sue famose lettere: Prima e Seconda lettera ai Tessalonicesi, Prima e Seconda lettera ai Corinzi, Lettera ai Galati e Lettera ai Filippesi.
Questo dipinto mostra un particolare curioso: sotto la mano sinistra del santo appare un volto, come fosse riflesso sul tavolo, che è quello di un Cristo coronato di spine, precedentemente dipinto dal pittore sulla medesima tela. L’effetto è bizzarro, poiché suscita l’impressione che Gesù stesso stia assistendo Paolo nella stesura delle sue lettere.
Durante il suo secondo viaggio, Paolo si ferma ad Atene, ove “certi filosofi epicurei e stoici” lo invitano nell’Areopago per conoscere meglio la nuova dottrina da lui predicata (Atti degli Apostoli 17,17 e sgg.). La scena ha come sfondo varie architetture vagamente classicheggianti, tra cui un edificio a pianta centrale con diverse statue di idoli pagani. Infatti, dicono gli Atti, Paolo “fremeva dentro di sé al vedere la città piena di idoli”.
Durante il suo terzo viaggio, Paolo si trattiene oltre due anni a Efeso, un soggiorno particolarmente lungo e fruttuoso, benché non esente da pericoli poiché quella città era sede di un importantissimo tempio pagano, quello di Artemide. Malgrado gli scontri con i pagani, a Efeso “tutti furono presi da timore, e il nome del Signore Gesù veniva glorificato” (Atti degli Apostoli 19,17). Al momento della partenza, Paolo viene salutato dagli anziani della città, convertitisi al cristianesimo.
Lasciata Efeso, Paolo si reca in Macedonia e, dopo altre peregrinazioni, s’imbarca a Neapolis per raggiungere le coste dell’odierna Turchia. Sbarca a Troade dove si trattiene una settimana: durante una predica, un ragazzo di nome Eutico muore cadendo da una finestra, ma Paolo lo risuscita.
Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane, e Paolo, che doveva partire il giorno dopo, conversava con loro e prolungò il discorso fino a mezzanotte. C’era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove eravamo riuniti. Ora, un ragazzo di nome Èutico, seduto alla finestra, mentre Paolo continuava a conversare senza sosta, fu preso da un sonno profondo; sopraffatto dal sonno, cadde giù dal terzo piano e venne raccolto morto. Paolo allora scese, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: «Non vi turbate; è vivo!». Poi risalì, spezzò il pane, mangiò e, dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì. Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati.Atti degli Apostoli 20,7-12
L’ultima tappa del terzo viaggio di Paolo è Cesarea, ove il profeta Agabo preannuncia a Paolo l’imminente arresto e la successiva prigionia. Vediamo Agabo che, in primo piano, si lega le mani e i piedi con una cintura, secondo le parole degli Atti:
Eravamo qui [a Cesarea] da alcuni giorni, quando scese dalla Giudea un profeta di nome Àgabo. Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: «Questo dice lo Spirito Santo: l’uomo al quale appartiene questa cintura, i Giudei a Gerusalemme lo legheranno così e lo consegneranno nelle mani dei pagani». All’udire queste cose, noi e quelli del luogo pregavamo Paolo di non salire a Gerusalemme. Allora Paolo rispose: «Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù». E poiché non si lasciava persuadere, smettemmo di insistere dicendo: «Sia fatta la volontà del Signore!».
Dopo questi giorni, fatti i preparativi, salimmo a Gerusalemme.Atti degli Apostoli 21,10-14
Dopo il terzo viaggio Paolo si reca a Gerusalemme. Mentre si trova sulla spianata del Tempio viene riconosciuto da alcuni ebrei ortodossi che lo accusano di avere predicato contro la legge e di avere introdotto un pagano che lo accompagnava nel recinto del Tempio, rigorosamente proibito ai non ebrei, un reato gravissimo che prevedeva la morte per il trasgressore. Ne scaturisce un tumulto durante il quale Paolo rischia il linciaggio. Lo salvano i soldati al comando di un tribuno romano, al quale Paolo chiede di potersi rivolgere alla folla inferocita. Egli racconta così la sua chiamata da parte di Gesù a predicare ai pagani, ma non riesce a calmare la folla. Il tribuno lo porta al sicuro nella fortezza e, con l’accusa di avere turbato l’ordine pubblico, sta per flagellarlo, ma Paolo si dichiara cittadino romano.
Il tribuno Claudio Lisia, che aveva salvato Paolo dal linciaggio sulla spianata del Tempio, dispone il trasferimento dell’apostolo da Gerusalemme a Cesarea, sede del governatore romano Felice, di fronte al quale i giudei ripetono le loro accuse nei confronti di Paolo. Felice non lo condanna ma neppure lo assolve, trattenendolo in prigione due anni, “volendo fare cosa gradita ai Giudei” (Atti degli Apostoli 24,27). Gli concede una certa libertà, non impedisce ai suoi amici di dargli assistenza e, anzi, ascolta persino volentieri le sue predicazioni, fino al giorno in cui…
Felice arrivò in compagnia della moglie Drusilla, che era giudea; fece chiamare Paolo e lo ascoltava intorno alla fede in Cristo Gesù. Ma quando egli si mise a parlare di giustizia, di continenza e del giudizio futuro, Felice si spaventò e disse: «Per il momento puoi andare; ti farò chiamare quando ne avrò il tempo».Atti degli Apostoli 24,24-25
Il comportamento di Felice si spiega con il fatto che, prima di diventare legalmente sua moglie, Drusilla, già sposata con Gaio Giulio Azizo, membro della famiglia reale di Emesa, aveva lasciato il marito per diventare sua amante. È comprensibile l’imbarazzo del governatore allorché sente Paolo parlare di continenza e giustizia.
A Felice succede come governatore Porcio Festo, e di nuovo i capi dei giudei reclamano la condanna a morte di Paolo. Anche Festo, come Felice, preferisce non pronunciarsi, perciò Paolo, in quanto cittadino romano, si appella al giudizio dell’imperatore. «Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai», esclama Festo, sollevato dal fatto di sbarazzarsi di quel caso spinoso. I governatori romani, infatti, esitavano a pronunciarsi circa le questioni religiose ebraiche, a loro del tutto indifferenti, come già era accaduto nel caso di Gesù e Ponzio Pilato. Paolo, comunque, subisce un secondo processo al quale assistono anche re Marco Giulio Agrippa II e sua sorella Berenice.
Il giorno dopo Agrippa e Berenice vennero con grande sfarzo ed entrarono nella sala dell’udienza, accompagnati dai comandanti e dai cittadini più in vista; per ordine di Festo fu fatto entrare Paolo. Allora Festo disse: «Re Agrippa e tutti voi qui presenti con noi, voi avete davanti agli occhi colui riguardo al quale tutta la folla dei Giudei si è rivolta a me, in Gerusalemme e qui, per chiedere a gran voce che non resti più in vita. Io però mi sono reso conto che egli non ha commesso alcuna cosa che meriti la morte. Ma poiché si è appellato ad Augusto, ho deciso di inviarlo a lui. Sul suo conto non ho nulla di preciso da scrivere al sovrano; per questo l’ho condotto davanti a voi e soprattutto davanti a te, o re Agrippa, per sapere, dopo questo interrogatorio, che cosa devo scrivere. Mi sembra assurdo infatti mandare un prigioniero, senza indicare le accuse che si muovono contro di lui».Atti degli Apostoli 25,23-27
1620-1623 ca., olio su tavola, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage.
Verso l’autunno dell’anno 60, Paolo, con altri prigionieri, si imbarca alla volta di Roma. La nave incappa in una tempesta e fa naufragio sull’isola di Malta, ove passeggeri, marinai e soldati si mettono in salvo. Non appena sbarcato, Paolo è protagonista di un evento miracoloso che gli vale l’incondizionata venerazione degli isolani.
Una volta in salvo, venimmo a sapere che l’isola si chiamava Malta. Gli abitanti ci trattarono con rara umanità; ci accolsero tutti attorno a un fuoco, che avevano acceso perché era sopraggiunta la pioggia e faceva freddo. Mentre Paolo raccoglieva un fascio di rami secchi e lo gettava sul fuoco, una vipera saltò fuori a causa del calore, e lo morse a una mano. Al vedere la serpe pendergli dalla mano, gli abitanti dicevano fra loro: “Certamente costui è un assassino perché, sebbene scampato dal mare, la dea della giustizia non lo ha lasciato vivere”. Ma egli scosse la serpe nel fuoco e non ne patì alcun male. Quelli si aspettavano di vederlo gonfiare o cadere morto sul colpo ma, dopo avere molto atteso e vedendo che non gli succedeva nulla di straordinario, cambiarono parere e dicevano che egli era un dio.Atti degli Apostoli 28,1-6
1530-1532, miniatura della Bibbia di Ottheinrich, Monaco, Bayerische Staatsbibliothek.
A Malta, Paolo guarisce il padre di Publio, uno dei maggiorenti dell’isola.
Là vicino vi erano i possedimenti appartenenti al governatore dell’isola, di nome Publio; questi ci accolse e ci ospitò con benevolenza per tre giorni. Avvenne che il padre di Publio giacesse a letto, colpito da febbri e da dissenteria; Paolo andò a visitarlo e, dopo aver pregato, gli impose le mani e lo guarì. Dopo questo fatto, anche gli altri abitanti dell’isola che avevano malattie accorrevano e venivano guariti. Ci colmarono di molti onori e, al momento della partenza, ci rifornirono del necessario.Atti degli Apostoli 28,7-10
Dopo la sosta forzata sull’isola di Malta, alla fine dell’inverno il viaggio per mare riprende toccando successivamente Siracusa, Reggio Calabria e Pozzuoli. In particolare, a Siracusa, dove Paolo si trattiene tre giorni, il vescovo Marciano lo invita a predicare e a celebrare i santi misteri in una grotta davanti a una gran folla di fedeli.
Gli Atti degli Apostoli terminano con l’arrivo di Paolo a Roma, ove, in attesa di comparire di fronte all’imperatore, gli viene concesso “di abitare per suo conto con un soldato di guardia” (Atti degli Apostoli 28,16). Questo stato di blanda prigionia si protrae due anni, durante i quali l’apostolo può ricevere visite e continuare la sua predicazione. Dopo questi primi arresti domiciliari segue una seconda prigionia, assai più dura, causata dalla persecuzione anticristiana di Nerone, che si concluderà con la morte dell’apostolo. Lontani gli amici fedeli, in questa seconda carcerazione Paolo ha accanto a sé soltanto Luca e vive una dura, amara solitudine.
Io infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Cerca di venire presto da me, perché Dema mi ha abbandonato, avendo preferito le cose di questo mondo, ed è partito per Tessalònica; Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me.Seconda Lettera a Timoteo 4,6-11
Paolo viene decapitato, pena di morte considerata “dignitosa” e perciò riservata ai cittadini romani, in una località presso Roma detta “palude Salvia”, probabilmente nell’anno 67, durante la persecuzione di Nerone. Secondo la tradizione, lo stesso giorno fu martirizzato anche Pietro, tanto che i due santi vengono ricordati lo stesso giorno dal Martirologio Romano.