GIUDA ISCARIOTA

CHI È

Giuda – che in ebraico significa “lodato” – è figlio di Simone Iscariota. Quest’ultimo appellativo potrebbe valere per “uomo di Keriot”, villaggio della Giudea citato nel libro di Giosuè (15,25), ma potrebbe derivare anche da “sicario” – dal latino sicarius, da sica, un particolare tipo di pugnale – nome che gli antichi romani attribuivano alla fazione “integralista” del partito ebraico degli Zeloti. Alcuni studiosi ritengono più verosimile che Iscariota derivi da Issachar, tribù israelitica che trae il nome dal nono figlio di Giacobbe e Lia.

Giuda Iscariota era a tutti gli effetti uno dei dodici apostoli – anche se non si sa nulla sulle circostanze della sua inclusione nel gruppo –, svolgeva il ruolo di tesoriere e, secondo Giovanni, era un ladro: «Siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (Gv 12,6).

La Legenda aurea di Jacopo da Varazze (secolo XIII) fornisce – citando un non meglio precisato apocrifo – una versione fantasiosa, e assai inquietante, sulle origini di Giuda. Figlio di un gerosolomitano di nome Ruben, detto anche Simone, e di sua moglie Ciborea, Giuda appare destinato ancor prima della nascita a un infausto destino. Ciborea, infatti, sogna che il bambino di cui è incinta causerà la rovina della gente d’Israele, perciò Giuda appena nato è abbandonato in mare in una cesta (come Mosè). La cesta approda sull’isola di Scarioth ove la regina lo trova e, non avendo figli, lo adotta. Più tardi, il re e la regina hanno un figlio proprio e Giuda viene emarginato. Roso dalla gelosia, uccide il fratello putativo e fugge, ponendosi al servizio di Pilato. Costui gli ordina di rubare della frutta in un giardino, che caso vuole sia quello di Ruben. Sorpreso a rubare, Giuda uccide Ruben, ignorando che sia suo padre. Successivamente Pilato gli assegna tutti i beni del defunto, compresa Ciborea, che diviene al tempo stesso sua madre e sua moglie (come Edipo). Quando più tardi, Giuda scopre tutta la verità, per fare penitenza, “andò da Nostro Signore Gesù Cristo e implorò perdono per le sue colpe”.

Jacopo da Varazze conclude la sua narrazione con questo saggio avvertimento: «Se ciò che si legge sino a questo punto dell’apocrifo sia da considerare vero o no, lo lascio valutare al lettore, che scelga se sia da accettare o da rifiutare».