Giovanni, in ebraico Yehohanàn, “Dio fece grazia”, era figlio di Zebedeo e di Maria di Salome e fratello dell’apostolo Giacomo il Maggiore. Prima di seguire Gesù era discepolo di Giovanni Battista e svolgeva l’attività di pescatore sul lago di Genesaret. La tradizione gli attribuisce un ruolo speciale tra gli apostoli, tra i quali è il più giovane. Compreso nel ristretto gruppo che include anche Pietro e Giacomo, è partecipe dei principali eventi della vita di Gesù, testimone della Trasfigurazione e della preghiera nel Getsemani. Durante l’ultima cena riveste un ruolo particolare a fianco del Maestro, interrogandolo sull’identità del traditore. Il quarto Vangelo lo identifica con “il discepolo che Gesù amava” ed è, unico tra gli apostoli, presente alla morte in croce del Messia. Questi, in punto di morte, gli affida Maria come madre (Giovanni 19,26-27), e con lei Giovanni vive poi a Efeso – tranne una breve parentesi di esilio nell’isola di Patmos –, dove, secondo la tradizione, sarebbe morto in tardissima età, ultimo sopravvissuto degli apostoli.
Subì la persecuzione sotto Domiziano, e a Roma fu gettato in una botte di olio bollente, per cui, pur uscendone illeso, è riconosciuto come martire. Di lui si narrano molti miracoli, risuscitò diversi morti e mutò fuscelli e sassolini in oro e pietre preziose, il che gli valse l’accusa di magia e l’esilio nell’isola di Patmos, ove ebbe la compagnia di un’aquila, suo tradizionale attributo iconografico. Il riferimento all'aquila è inoltre dovuto alla profondità del suo Vangelo, al fissare il suo sguardo nelle profondità della divinità, così come l’aquila può, si credeva, fissare il sole. Secondo la Legenda aurea di Jacopo da Varazze (secolo XIII), lui stesso disse: «L’aquila vola più in alto di ogni altro uccello e fissa il suo occhio sul sole».
Sempre secondo la Legenda aurea, dopo che con le sue preghiere Giovanni ebbe fatto crollare il tempio di Diana a Efeso, Aristodemo, sacerdote della dea, lo sfidò promettendo di convertirsi se Giovanni fosse riuscito a bere senza danno una coppa di veleno così forte che due condannati a morte, costretti a berlo per prova, morirono all’istante. L’apostolo non solo scampò al pericolo facendo il segno della croce ma risuscitò i due condannati: così Aristodemo si convertì e fu battezzato. Per questo episodio Giovanni è raffigurato con un calice da cui esce un serpente, segno del veleno e del male.
A lui la tradizione cristiana attribuisce un Vangelo, tre lettere e l’Apocalisse.