La speranza si radica nella nostra quotidiana esperienza di vita, con tutte le inquietudini,
le incertezze, le sfide che le appartengono e che ci rendono timorosi e fragili di fronte a un futuro ignoto e spesso cupo. È la speranza
ad alimentare la nostra ricerca di un significato profondo del nostro essere al mondo in una situazione esistenziale di fragilità.
Tenere viva la speranza significa guardare a qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti: è quanto ci suggerisce lo sguardo della giovane donna
rappresentata da Pollaiolo, allegoria della virtù teologale della Speranza: la sua posa, gli occhi rivolti al cielo e l'atteggiamento di preghiera esprimono
un'aspirazione verso qualcosa di superiore, un desiderio di trascendenza, un’apertura verso un “oltre” che ci impedisce di cadere nella fosca convinzione
dell’assenza di senso: la vita non può essere spiegata esclusivamente attraverso ciò che è finito e limitato, e solo se ci apriamo a qualcosa di più grande
troviamo le ragioni per sperare.
Questa trascendenza è un mistero che va oltre la nostra comprensione, ma che ci attrae e che genera e, al contempo, è generato dalla speranza, anche quando,
razionalmente, ci sembra che non ci sia alcun motivo di confidare in un futuro migliore.
La bellezza, in tutte le sue forme, può essere interpretata come una manifestazione del trascendente, un riflesso di quell'infinito che l'uomo cerca
nella speranza: è lo sguardo su qualcosa di più ampio e profondo, un assaggio di quell'Assoluto a cui aneliamo.
Piero del Pollaiolo, Speranza, 1469-1472; Firenze, Galleria degli Uffizi.