Chiesa cattolica

La Chiesa cattolica ha sempre attribuito grande importanza all'arte e alla bellezza, vedendole come strumenti per avvicinare le persone a Dio. L'arte è infatti considerata un mezzo per esprimere la gloria divina e per ispirare fede e devozione. Questo rapporto tra la Chiesa e l’estetica si è evoluto nel corso dei secoli, adattandosi alle sfide della modernità pur mantenendo saldi i suoi princìpi fondamentali.
Nel contesto contemporaneo, caratterizzato dalla rivoluzione digitale e dalla proliferazione di immagini artificiali, la Chiesa riafferma il valore di una bellezza autentica e spiritualmente significativa. Nel discorso agli artisti tenutosi il 23 giugno 2023 in occasione del 50° anniversario dell'inaugurazione della Collezione d'arte moderna dei Musei vaticani, papa Francesco ha esortato gli artisti a resistere alla tentazione di una bellezza superficiale, nociva per la società, ricordando loro: «Voi artisti avete la capacità di sognare nuove versioni del mondo. […] La capacità d’introdurre novità nella storia. Per questo […] assomigliate anche ai veggenti. […] Sapete guardare le cose sia in profondità sia in lontananza, come sentinelle che stringono gli occhi per scrutare l’orizzonte e scandagliare la realtà al di là delle apparenze».
Questa visione si è concretizzata nella partecipazione della Santa Sede alla Biennale dell’Arte di Venezia nel 2024, con un Padiglione intitolato Con i miei occhi. Il cardinale portoghese José Tolentino de Mendonça (1965), prefetto del Dicastero per la cultura e l'educazione, ha sottolineato l’importanza di farsi «carico della responsabilità del vedere». Infatti «Viviamo in un’epoca in cui, con l’esplosione del digitale e il trionfo delle tecnologie di comunicazione a distanza, lo sguardo umano è sempre più filtrato, differito e indiretto, con il conseguente rischio di rimanere come staccato dalla realtà stessa. La contemporaneità moltiplica indefinitamente l’esercizio mediato dello sguardo, determinandone la spettacolarizzazione. […] I nostri occhi trasformati in “stranieri ovunque” sono capaci, sì, di registrare e annotare, ma non più di vedere. C’è dunque, nel campo dello sguardo, una sorta di cittadinanza da riconquistare» (dal testo introduttivo al catalogo del Padiglione della Santa Sede alla Biennale).
La Chiesa non si limita a riflessioni teoriche sulla bellezza, ma si impegna attivamente nella conservazione e nella valorizzazione del suo patrimonio storico-artistico. A testimonianza di ciò, nel 1988 la Curia romana ha istituito la Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa.


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Chiese protestanti

L'approccio protestante all'arte e alla bellezza è stato storicamente vario e complesso. Durante la Riforma, figure influenti come Giovanni Calvino (1509-1564) assunsero una posizione critica sull'uso di immagini religiose, temendo che potessero diventare oggetti di idolatria e portare a distogliere l’attenzione dalla vera fonte di conoscenza divina: le Sacre Scritture.
Questa visione si manifestò in modo eterogeneo tra le diverse denominazioni protestanti. I puritani, ad esempio, abbracciarono un’estetica austera, preferendo luoghi di culto semplici e privi di decorazioni. I luterani, invece, mantennero un certo apprezzamento per l'arte sacra, pur ponendo limiti al suo uso nel culto.
Con il trascorrere del tempo, numerose Chiese protestanti hanno progressivamente abbracciato l'arte, riconoscendone il potenziale come mezzo di espressione spirituale e di edificazione. Tuttavia, le interpretazioni di arte e bellezza variano ancora tra queste comunità.


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Chiese ortodosse

Le Chiese ortodosse hanno sempre attribuito grande importanza all'arte sacra, nonostante abbiano attraversato un significativo periodo di iconoclastia nell’VIII secolo. Questo movimento, iniziato dall’imperatore Leone III e proseguito dal figlio Costantino V, causò l’interruzione della produzione artistica e la distruzione di numerose opere.
Superata questa fase, le icone hanno riacquistato il loro ruolo fondamentale nella tradizione ortodossa, fungendo da mediazione tra il mondo materiale e quello spirituale. Per questo motivo sono considerate finestre sul divino e strumenti essenziali per la preghiera e la meditazione. Per l’iconografo, la creazione di un’icona non rappresenta una mera espressione artistica, ma costituisce un atto di glorificazione divina e uno strumento per guidare i fedeli nel loro cammino spirituale, riflettendo sulla Terra la bellezza celeste.
L’arte sacra ortodossa si caratterizza per la sua forte enfasi sulla continuità, preservando nei secoli tecniche e stili iconografici tradizionali. Nella storia ha esercitato un’influenza determinante sullo sviluppo dell’arte bizantina e russa, contribuendo a mantenere viva la tradizione religiosa e culturale.


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Ebraismo e islam

In ambito artistico, la tradizione ebraica e quella islamica sono caratterizzate dal principio di aniconismo, che limita la rappresentazione di figure divine e, in varia misura, di esseri viventi. Questa restrizione ha orientato lo sviluppo artistico verso forme non figurative e decorative, concentrandosi sulle miniature dei manoscritti, sui motivi geometrici e sulla calligrafia. In particolare, l’arte ebraica ha privilegiato simboli che evocano concetti spirituali, mentre quella islamica ha sviluppato gli arabeschi, che invitano alla contemplazione e alla riflessione spirituale, manifestando la bellezza del Creato attraverso l’astrazione.


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Induismo

Anche nella tradizione induista arte e bellezza sono intimamente connesse al divino e considerate manifestazioni del sacro (brahman). Centrale nella teoria estetica di questa cultura è il concetto di rasa, letteralmente “essenza”, “succo”, che rappresenta l’esperienza suprema della bellezza, la quale trascende la percezione ordinaria e conduce a uno stato di beatitudine (ananda). Ogni forma artistica è considerata una forma di preghiera e meditazione (yoga) e l’artista è ritenuto un veicolo attraverso cui il divino si manifesta. Per questo, durante il processo creativo, egli deve raggiungere uno stato di profonda concentrazione che gli permetta di visualizzare e trasmettere la bellezza, la bontà e la verità divina. Le arti sacre induiste seguono precise regole canoniche, contenute nei testi Shilpa Shastras, che codificano proporzioni, gesti e simboli.


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Buddhismo

Nel buddhismo, l'arte e la bellezza sono viste come strumenti per la realizzazione spirituale e la comprensione della vera natura della realtà. Diversamente da altre tradizioni religiose, questa filosofia non esalta la bellezza come attributo divino, ma la considera un mezzo per raggiungere l'illuminazione (nirvana) e superare l'attaccamento alle forme materiali.
L'arte buddhista tradizionale si fonda sul principio di vacuità (sunyata) secondo cui ogni manifestazione artistica deve evocare la natura transitoria e interdipendente di tutti i fenomeni. La bellezza non è quindi ricercata come fine in sé. Pitture murali, giardini zen e mandala, caratterizzati da semplicità ed essenzialità delle forme, invitano alla contemplazione della natura effimera dell’esistenza. Il concetto estetico zen di wabi-sabi, celebrando la bellezza dell'imperfezione e dell'impermanenza, incarna perfettamente questi princìpi fondamentali dell'insegnamento del Buddha.
Durante il processo creativo, che diventa esso stesso una forma di meditazione, l’artista cerca di abbandonare l’ego. Le opere realizzate costituiscono supporti per la pratica spirituale, piuttosto che oggetti di venerazione fine a sé stessi, creando un'atmosfera contemplativa di serenità e distacco che agevola la comprensione degli insegnamenti buddhisti, fungendo da ponte tra l'esperienza ordinaria e la realizzazione spirituale.


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