La parola “estetica”, di uso quotidiano e comune, non si riferisce solo al corpo, ma anche a edifici, arredamenti, paesaggi, opere d’arte e così via. In tutti questi casi, il termine è usato in maniera un po’ vaga, ma per noi facilmente riconoscibile. A seconda del contesto, con esso vogliamo indicare una bella forma, un aspetto gradevole, uno spettacolo piacevole ecc.
Tuttavia, un tale uso non ci restituisce l’ampiezza del suo significato. Per essere più precisi, l’estetica è quella parte della filosofia che si occupa dei problemi legati all’arte e alla bellezza. Le domande a cui essa risponde sono del tipo “che cos’è la bellezza?”, “che cos’è l’arte?”, “quale rapporto esiste tra le due?”.
Sebbene una riflessione sull’estetica sia sempre esistita nella storia, la filosofia dell’arte come disciplina autonoma nacque piuttosto tardi, intorno al XVIII secolo. Fu con la pubblicazione dell’opera Aesthetica del filosofo tedesco Alexander Baumgarten (1714-1762) nel 1750 che l’estetica si definì come campo di studio indipendente.

Nella vita quotidiana, associamo naturalmente i concetti di arte e bellezza: quante volte, per dire che qualcosa è particolarmente bello, diciamo che “è un’opera d’arte” o che “è fatto a regola d’arte”?
Nel mondo antico non esisteva una concezione autonoma di arte. La riflessione filosofica si concentrava sulla bellezza, concepita da Pitagora (VI secolo a.C.) come simmetria, un’armonia universale basata su proporzioni matematiche.

Questa idea influenzò Platone, Aristotele e, successivamente, il cristianesimo medievale. Con l’avvento dell’epoca moderna, l’artista venne considerato, in piccolo, un continuatore dell’opera divina, in grado di ricreare la sua armonia assoluta. Arte e bellezza si ricongiungono, così, definitivamente, fino ai giorni nostri.
Tuttavia, sia nella società moderna sia in passato, si è spesso incorsi nell’errore di fruire della bellezza in modo superficiale, privandola del suo potenziale trasformativo e trascurando il legame che la unisce al bello, al bene e al vero. Prestando invece attenzione a questa connessione, l’esperienza della bellezza può diventare un veicolo straordinario per scoprire la nostra interiorità e comprendere il mondo.
Il pittore russo Wassily Kandinsky (1866-1944), nel saggio Lo spirituale nell’arte (1911), sottolineava il rapporto tra l’armonia che scaturisce dall’opera d’arte e l’armonia delle leggi che governano il cosmo: «Queste leggi le sentiamo in modo inconscio, se ci accostiamo alla natura in modo […] interiore. Non ci si deve limitare a guardare la natura dall’esterno, ma la si deve vivere dall’interno».
C’è un legame tra l’arte e le grandi domande di senso che accompagnano da sempre l’umanità attraverso i secoli, i popoli e le culture: porsi questi interrogativi presuppone la capacità di lasciarci stupire da ciò che vediamo per cercarvi qualcosa che ci spinga ad andare più in là. È questo, in sostanza, il cuore dell’esperienza estetica che è fatta di contemplazione e ammirazione.



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Vasilij Kandinskij, Giallo, rosso, blu, 1925; Parigi, Musée National d'Art Moderne.




«Si usa uno specchio di vetro per guardare il viso e si usano le opere d’arte per guardare la propria anima.»
– George Bernard Shaw –




La tradizione spirituale cristiana ha riflettuto sulla bellezza come porta verso l’interiorità. In particolare, Paolo di Tarso (I secolo d.C.), nella prima lettera ai Tessalonicesi (5, 23), ha concepito l’uomo come costituito da tre parti: corpo, anima e cuore.
Questa visione ha influenzato sia la teologia latina sia quella orientale, mettendo in luce tre livelli di esperienza della bellezza profondamente integrati tra loro dall’amore:


Macrino d'Alba, San Paolo, 1527 circa; Amsterdam, Rijksmuseum.

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