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IL CONCETTO DI BELLEZZA NELLA STORIA
Polidoro, Agesandro, Atenodoro di Rodi, Laocoonte e i suoi figli, I secolo a.C. - I secolo d.C.; Città del Vaticano, Musei Vaticani.




La bellezza in Età classica

«La bellezza salverà il mondo», afferma il principe Miškin nel romanzo L’Idiota dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij (1821-1881).
Questa frase, spesso banalizzata, ha radici nella filosofia di Platone (V-IV secolo a.C.), secondo cui la bellezza è un’idea assoluta che abita nell’Iperuranio, ma può manifestarsi concretamente nel mondo umano. Questa manifestazione è chiamata parusía (dal greco, “presenza”), parola poi ripresa dal cristianesimo per indicare il ritorno di Cristo sulla Terra. Con questo termine Platone intendeva dire che la bellezza è presente tra gli uomini, insieme ad altre idee come quelle di bene, verità e giustizia.

L’associazione di “bello” e “buono” è profondamente radicata nella cultura greca classica e si esprime con il termine kalokagathía (dall’unione di kalós, “bello” e agathós, “buono”). Questo ideale, a cui tendevano poeti, artisti e filosofi, si rifletteva per esempio negli eroi omerici, la cui bellezza esteriore corrispondeva alla virtù interiore, e nell’armonia delle forme scolpite nel marmo o nei bronzi che sono giunti fino a noi.
Nella concezione greca, dunque, il bello si accompagna sempre a ciò che è bene in senso ampio. Platone precisava, tuttavia, che la bellezza può coincidere con la bontà solo a condizione ch’essa sia in grado di spingere chi la contempla alla virtù morale. Per raggiungere questo obiettivo, occorre compiere un processo di purificazione attraverso l’ascesi (dal greco, “esercizio”).
La bellezza riguardava l’umanità nel suo insieme, rappresentava un modo di essere, pensare e comportarsi, tanto che la kalogathía divenne anche un titolo onorifico con cui omaggiare i cittadini particolarmente virtuosi.


Michelangelo, David, 1504 circa; Firenze, Galleria dell'Accademia.



La bellezza nel Medioevo

Nel Medioevo il concetto di bellezza, influenzato dalla diffusione del cristianesimo, subì una profonda trasformazione rispetto all'ideale classico. Essa veniva interpretata principalmente come manifestazione del divino: un riflesso della perfezione di Dio nel mondo terreno.

Sant'Agostino (354-430 d.C.), figura chiave del pensiero medievale, sosteneva che la bellezza scaturisse dall'ordine e dall'armonia voluti da Dio. Per lui, la bellezza tangibile costituiva un passo verso la contemplazione di quella divina.
Tommaso d'Aquino (1226 circa-1274) elaborò ulteriormente quest’idea nella Summa Theologiae (1265-1273), definendo bello ciò che viene visto, cioè conosciuto. Egli sosteneva che la bellezza fosse una rivelazione della verità divina, pertanto apprezzarla significava comprendere l’opera del Creatore.
L'arte medievale rispecchiava questa visione: le rappresentazioni sacre, come le icone bizantine o le vetrate delle cattedrali gotiche, simboleggiavano la vicinanza a Dio e riproducevano la magnificenza celeste. La luminosità, in particolare, era ricercata come emblema della luce divina. Queste opere miravano ad aiutare i fedeli a conoscere le Sacre Scritture e a meditare sul mistero della fede.

In quest’epoca la bellezza dell’anima prevaleva su quella del corpo umano: si apprezzavano virtù cristiane come purezza, umiltà, temperanza, carità e devozione. L’aspetto esteriore era considerato un riflesso della prossimità al Regno dei cieli. Nei romanzi cavallereschi e nella poesia cortese, i tratti femminili che manifestavano questa vicinanza erano incarnato pallido, capelli biondi, occhi azzurri, labbra sottili e seno discreto.
Il teologo Gianfranco Ravasi (1942) spiega che anche il greco del Nuovo Testamento, come quello classico, usa kalós per indicare sia il bello sia il buono: la trascendenza divina unisce in sé verità e bellezza, bontà e giustizia. La categoria estetica (dal greco áisthesis, “sensazione”) diventava, quindi, un parametro per valutare la moralità di una persona.

Anche la natura, vista come creazione divina, era oggetto di contemplazione e ispirò personalità come San Francesco d'Assisi (1182 circa-1226), che negli ultimi anni della sua vita dedicò il Cantico delle creature alla celebrazione della bontà divina manifesta nel Creato.


Vetrate della Sainte Chapelle; XIII secolo, Parigi.



La bellezza nel Romanticismo

Il Romanticismo, movimento culturale nato in Germania alla fine del XVIII secolo, ridefinì nuovamente il concetto di bellezza, concependolo come espressione dei sentimenti più intimi, del legame con la natura e della tensione verso l’ignoto. L’estetica romantica esaltava l’immaginazione, il genio individuale e la solitudine, ponendo l’accento sulla soggettività e sull’intensità emotiva.
In questo contesto, la natura assunse un ruolo importante: da semplice oggetto di contemplazione divenne uno specchio dell'anima umana. Il bello si fuse con il sublime, cioè con la sensazione che unisce meraviglia e terrore di fronte alla grandiosità di un paesaggio selvaggio e incontaminato. Tale percezione stimolava l’intuizione di realtà trascendenti, conducendo l'osservatore ai limiti della propria comprensione, permettendogli di scorgere l'infinito nel finito. Il filosofo statunitense Robert Clewis, nostro contemporaneo, descrive efficacemente le manifestazioni fisiche di questa esperienza: «la nostra bocca si spalanca, le nostre sopracciglia si alzano e proviamo brividi da pelle d’oca» (da A Theory of the Sublime is Possible, in “Wassard Elea Rivista”, 4, 2017). La natura veniva inoltre raffigurata come un rifugio dalle tensioni tra individuo e società, offrendo un’alternativa all’alienazione urbana. La bellezza poteva trovarsi anche nel brutto o nel grottesco, purché capace di suscitare emozioni profonde.

Filosofi come i tedeschi Friedrich Schelling (1775-1854) e Friedrich Hegel (1770-1831) elaborarono teorie che vedevano l'arte come manifestazione dell'Assoluto, inteso come realtà ultima e fondamentale che trascende e unifica tutti gli aspetti dell'esistenza. Per loro la bellezza non era solo una qualità estetica, ma un riflesso dell'infinito e dell'ideale che si rivela nel mondo finito e reale.


John Constable, La cattedrale di Salisbury vista dai terreni del Vescovo, 1823; Londra, Victoria and Albert Museum.



La bellezza nell’Età contemporanea

L’evoluzione del concetto di bellezza durante l’Età contemporanea riflette i profondi cambiamenti sociali, culturali e tecnologici degli ultimi due secoli.
Con l’avvento del Realismo e del Naturalismo nel XIX secolo, l’attenzione si spostò verso una rappresentazione più oggettiva della realtà. In contrasto con l’idealizzazione romantica, la bellezza venne percepita in modo più concreto: rispecchiava la vita quotidiana con tutte le sue imperfezioni.
Le avanguardie artistiche del XX secolo (Futurismo, Surrealismo, Dadaismo) esplorarono nuove tecniche e forme di espressione, trasformando il bello in un concetto sperimentale e dinamico, spesso provocatorio e anticonformista.
Successivamente, il Modernismo cercò nuove forme di bellezza nell’astrazione, nell’innovazione e nel minimalismo, enfatizzando la funzionalità. Il Post-modernismo, invece, mise in discussione l’esistenza stessa di canoni estetici universali, abbracciando l’eclettismo e la pluralità di stili e interpretazioni.

Nella società odierna, influenzata dalla digitalizzazione e dalla globalizzazione, il concetto di bellezza ha assunto nuove dimensioni. Le diverse influenze culturali e i social media hanno reso più fluidi e diversificati i canoni estetici, imponendo tuttavia, allo stesso tempo, standard irrealistici. Da un lato sono emersi movimenti che promuovono l’accettazione della diversità corporea e l’inclusività, sfidando gli stereotipi tradizionali. Dall’altro, paradossalmente, la stessa cultura ha intensificato la pressione verso criteri estetici irraggiungibili. L’uso diffuso di filtri e manipolazioni digitali ha creato un divario crescente tra realtà e rappresentazione, alimentando insicurezze e aspettative distorte.
La realtà virtuale, quella aumentata e l’arte digitale esplorano anche nuove forme di bellezza. L’artista turco-americano Refik Anadol (1985), ad esempio, crea installazioni visive mozzafiato usando i big data, raccolte di enormi quantità di dati che vengono elaborate da tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale.


Bernardo Bellotto, Città vecchia di Dresda, 1760 circa; Karlsruhe, Staatliche Kunsthalle Karlsruhe.