In un'epoca caratterizzata da sfide ambientali e sociali senza precedenti, perseguire lo sviluppo sostenibile
è diventato un imperativo collettivo.
L'attuale economia di mercato privilegia la crescita rispetto allo sviluppo. Sebbene sia vero che, in un Paese, l’aumento del PIL porti quasi sempre
a un incremento del reddito medio degli individui, nel concetto di "medio" si nascondono gravi
disuguaglianze,
e in numerosi casi, per raggiungere questo risultato,
i governi limitano la libertà dei singoli individui.
Le disparità socioeconomiche, come la disoccupazione, la povertà e lo sfruttamento, creano un divario sempre più ampio tra chi ha accesso
alle risorse e chi ne è escluso. La mancanza di accesso a un'adeguata assistenza sanitaria e alle opportunità lavorative incrementa questo distacco,
minando la giustizia sociale.
La globalizzazione, inoltre, pur offrendo opportunità di crescita economica, può esacerbare queste disuguaglianze, creando una competizione globale
che spesso svantaggia i lavoratori più vulnerabili e i Paesi in via di sviluppo.
Come afferma l’economista indiano premio Nobel Amartya Sen (1933) nel saggio Lo sviluppo è libertà, la sfida nella concretizzazione di uno sviluppo
sostenibile sta nell’eliminare ogni tipo di ingiustizia (la fame, l’intolleranza, l’analfabetismo…), cosicché ogni individuo possa perseguire
le proprie aspirazioni ed esprimere il proprio potenziale.
Tuttavia, solo l’impegno congiunto di politici, istituzioni e imprese potrà dar vita a una lotta efficace contro le ingiustizie.
Quando si parla di sostenibilità, è opportuno considerare anche l’impatto ambientale
dell’avanzamento tecnologico: per essere parte della soluzione, e non del problema, ogni innovazione, per quanto promettente, deve essere valutata
in termini di conseguenze a lungo termine sull’ecosistema.
Per realizzare un
futuro sostenibile,
è necessario modificare gli attuali modelli di sviluppo economico, basati sull’arricchimento e sul profitto,
integrando parametri ambientali e sociali nelle valutazioni del successo di un Paese.
La transizione ecologica, ossia il passaggio dall’economia lineare a quella circolare, rappresenta uno dei punti cardine di questo cambiamento e richiede la
collaborazione di politici, imprese e consumatori.
L’economia lineare si fonda su princìpi
consumistici
e rappresenta il modello economico tradizionale dei Paesi sviluppati. Sfruttando l’uso continuo di risorse limitate,
questo approccio genera inquinamento e accumulo di rifiuti non riciclabili.
L’economia circolare,
invece, intendendo sfruttare l’energia rinnovabile e utilizzare più efficacemente le risorse, punta a minimizzare gli sprechi,
richiedendo un ripensamento radicale dei nostri sistemi di produzione e consumo.
Questa indispensabile trasformazione culturale dovrebbe superare l’individualismo e spingere a riconoscere l'interdipendenza di tutti gli esseri viventi.
A tal fine, dovrebbe incoraggiare:
- politiche pubbliche che favoriscano l’assunzione di stili di vita compatibili con il modello sostenibile dello sviluppo;
- politiche governative che incentivino l’uso di energie rinnovabili, la riduzione delle emissioni di CO2 e la protezione degli ecosistemi;
- l’investimento nelle tecnologie verdi;
- la sensibilizzazione dei cittadini rispetto a un consumo responsabile.