La Chiesa cattolica considera il fenomeno migratorio non solo una sfida sociale, ma anche un'opportunità spirituale. I migranti e i rifugiati sono visti come testimoni viventi della speranza, capaci di incarnare la fede in cammino e di rinnovare le comunità ecclesiali
con il loro entusiasmo e la loro resilienza. La Chiesa invita a superare la tentazione della sedentarizzazione e a riscoprire la propria natura pellegrina, aperta all’accoglienza e alla solidarietà. Papa Leone XIV, nel
Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2025,
afferma: «In un mondo oscurato da guerre e ingiustizie, anche lì dove tutto sembra perduto, i migranti e i rifugiati si ergono a messaggeri di speranza». La loro presenza è una benedizione, un richiamo alla missione evangelica e alla costruzione di un mondo più simile al Regno di Dio.
I cattolici, come le altre confessioni cristiane, sono da sempre impegnati in campagne di sensibilizzazione e in programmi di accoglienza e protezione, operando concretamente attraverso realtà come la Fondazione Migrantes e la Caritas Italiana.
Le Chiese ortodosse considerano il fenomeno migratorio alla luce della loro visione teologica dell’uomo, che è visto come immagine di Dio e chiamato alla comunione e alla solidarietà. I migranti non sono numeri o problemi da gestire,
ma persone con una dignità, spesso vittime di guerre, persecuzioni o povertà.
La tradizione ortodossa invita all’ospitalità, virtù evangelica che si esprime nell’accoglienza del forestiero come di Cristo stesso. Le Chiese ortodosse locali, pur in contesti diversi, promuovono iniziative di sostegno spirituale e materiale,
collaborando con istituzioni e associazioni per garantire assistenza, integrazione e tutela dei diritti. In un mondo segnato da divisioni, gli ortodossi vedono la migrazione come occasione di incontro tra culture e di testimonianza cristiana,
nel segno della pace e della riconciliazione.
Le Chiese protestanti attribuiscono grande valore alla responsabilità personale e comunitaria, e vedono nella migrazione una sfida etica e teologica. Il migrante è “il prossimo da amare”, secondo il comandamento cristiano, e la sua accoglienza
è segno concreto della giustizia di Dio. Le comunità protestanti pertanto promuovono una cultura dell’inclusione, opponendosi a ogni forma di discriminazione e xenofobia.
Società come la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (FCEI) sono attive in progetti di accoglienza, come i
corridoi umanitari,
che offrono vie sicure e legali ai rifugiati.
La migrazione è anche occasione di rinnovamento ecclesiale: l’incontro con culture e spiritualità diverse arricchisce la testimonianza cristiana e richiama l’universalità del Vangelo. Per le Chiese protestanti, accogliere il migrante significa
vivere la fede in modo concreto, responsabile e profetico.
Essendo radicato nella propria storia e nei testi sacri, l’ebraismo ha una profonda sensibilità verso il tema delle migrazioni. Il popolo ebraico ha vissuto l’esperienza dell’esilio, della diaspora e della peregrinazione, sviluppando una teologia dell’accoglienza Significa accogliere chi è straniero o in difficoltà come espressione concreta della fede, un gesto che avvicina l’uomo a Dio. e della memoria Significa ricordare le esperienze della propria storia passata, come l’esilio e la fuga, per capire meglio chi oggi vive situazioni simili. La memoria diventa così uno strumento per coltivare la giustizia e la solidarietà.. La Torah invita più volte a non opprimere lo straniero. Questo precetto etico si traduce in un impegno concreto per la giustizia sociale, la solidarietà e la difesa dei diritti umani. Le comunità ebraiche promuovono iniziative di sostegno ai rifugiati e ai migranti, riconoscendo in loro il volto della vulnerabilità e della speranza. La migrazione, pur nella sua complessità, è vista come occasione per riaffermare valori universali di dignità, responsabilità e dialogo tra popoli.
Nel pensiero islamico, la migrazione (hijra) ha un significato profondo, legato alla storia del Profeta Maometto, che lasciò La Mecca per Medina per sfuggire alla persecuzione. Questo evento fondativo è visto come un atto di fede, resilienza e ricerca di giustizia. L’islam incoraggia l’accoglienza dello straniero e la solidarietà verso chi è costretto a lasciare la propria terra. Il Corano invita a sostenere i bisognosi, i rifugiati e i viandanti, riconoscendo nella migrazione una prova che può avvicinare a Dio. La comunità (umma) è chiamata a superare confini etnici e nazionali, promuovendo la fratellanza universale. In questo senso, l’islam non solo legittima il diritto a migrare per cercare protezione o migliori condizioni di vita, ma impone anche il dovere morale di accogliere e integrare chi arriva, nel rispetto della dignità umana e della giustizia sociale.
Nel pensiero induista, la migrazione è vista come una componente intrinseca del ciclo della vita, un flusso continuo che riflette l'esistenza stessa. Questa prospettiva, che non riconosce confini rigidi tra terre o popoli, si fonda sul concetto di vasudhaiva kutumbakam (“il mondo è una sola famiglia”), un principio che invita all'accoglienza e alla solidarietà. Il karma e il dharma guidano il comportamento individuale anche nel contesto della migrazione: chi parte lo fa per cercare equilibrio, giustizia o nuove opportunità, e chi accoglie ha il dovere morale di offrire rispetto e ospitalità. Le stesse scritture induiste sono ricche di racconti di saggi, re e divinità che hanno vissuto l'esilio o il pellegrinaggio, trasformando il viaggio in un'occasione di crescita spirituale. Di conseguenza, la migrazione non è considerata solo un fatto sociale, ma anche un cammino interiore che può condurre alla realizzazione di sé e al riconoscimento dell'altro come parte del divino.
Nel buddhismo, la migrazione è vista come parte del continuo mutamento che caratterizza l’esistenza. Nulla è permanente: il movimento, il distacco, la ricerca di rifugio sono esperienze che riflettono la natura impermanente della vita. Il Buddha stesso visse da
pellegrino, attraversando territori per condividere il dharma (“dovere”). Princìpi fondamentali come la compassione (karuna) e la benevolenza (metta) guidano l'approccio buddhista. Chi accoglie il migrante pratica la generosità,
mentre chi migra può trasformare la sofferenza in crescita interiore.
Il buddhismo invita a superare le barriere dell’ego e dell’identità nazionale, riconoscendo in ogni essere vivente la stessa aspirazione alla felicità e alla liberazione dalla sofferenza. Migrare, in questo senso, non significa solo spostarsi fisicamente, ma anche cercare
un luogo dove fiorire spiritualmente. Di conseguenza, accogliere chi migra è un atto di saggezza e compassione che contribuisce all’armonia e alla pace.