Le Chiese ortodosse condividono con la Chiesa cattolica princìpi bioetici basati sulla sacralità della vita, sulla dignità della persona umana e sulla fede in Dio. La malattia è vista
come un’occasione di crescita spirituale. L’intervento medico per alleviare le sofferenze è considerato lecito, ma sempre nel rispetto della volontà di Dio. Il dolore va, quindi, affrontato
cercando conforto nella preghiera e nei sacramenti, non procurando la morte prima del tempo, anche qualora non vi fosse più disponibilità di terapie per la guarigione. Tuttavia, pur
opponendosi all’eutanasia e al suicidio assistito, gli ortodossi rifiutano l’accanimento terapeutico e non sono apertamente contrari al testamento biologico, purché questo non violi i
loro valori morali.
La forma di cura più importante, però, resta quella che fa appello ai valori cristiani della carità, della misericordia e dell’amore verso il prossimo, che si traduce nell’essere presenti
e nell’offrire aiuto e consolazione.
Data la natura diversificata del panorama protestante, non è facile individuare posizioni nette sui princìpi etici da adottare in ambito di salute e cura. I protestanti, come i cristiani di altro orientamento, valorizzano la salute come dono di Dio e promuovono la cura del corpo e dello spirito. Alcune denominazioni condannano fermamente l’eutanasia e il suicidio, mentre altre mostrano maggiore apertura al dialogo, dando maggior peso alla responsabilità individuale e alla libertà di scelta. Vi è un consenso generale nel rifiutare l’accanimento terapeutico, ritenendo che ciò sia contrario alla dignità della persona, e nel sostenere l’importanza delle cure palliative.
Per quanto riguarda le questioni di fine vita, gli ebrei, come i cristiani, seguono il comandamento biblico di non uccidere e ritengono illeciti l’accanimento terapeutico e i trattamenti
medici che ritardano la morte con mezzi artificiali.
Oltre a ciò, la religione ebraica proibisce ai parenti di pregare per avvicinare il momento della morte di un paziente, poiché solo Dio ha il diritto di decidere quando una vita deve finire.
Tuttavia, è generalmente accettato che il paziente stesso preghi Dio per alleviare le proprie sofferenze, anche se ciò potrebbe implicare la morte. Sono altresì consentite le preghiere
generiche che invocano il sollievo per il malato.
«Ci opponiamo ad ogni forma di eutanasia – che è un atto diretto deliberato e intenzionale di prendere la vita – così come al suicidio medicalmente assistito che è un diretto, deliberato
ed intenzionale supporto al suicidarsi – in quanto sono atti completamente in contraddizione con il valore della vita umana e perciò di conseguenza sono azioni sbagliate dal punto di vista
sia morale sia religioso e dovrebbero essere vietate senza eccezioni»
(Dichiarazione congiunta delle religioni monoteiste abramitiche sulle problematiche del fine vita).
Testamento biologico e Halakhah
Le opinioni più diffuse ritengono che:
Comportando la distruzione intenzionale della vita, l’eutanasia e il suicidio sono contrari all’etica buddhista, perché non permettono di raggiungere il Nirvana (condizione estatica di
assenza di qualunque sensazione), bensì mantengono l’anima vincolata al ciclo delle rinascite. Secondo la dottrina karmica buddhista, ogni individuo è responsabile delle proprie azioni e
delle loro conseguenze, e le scelte personali devono considerare gli obblighi sociali e il bene comune. Il tempo assegnato a ciascuno deve essere vissuto senza optare per la distruzione
della vita o la sua obbligata preservazione.
Il principio di sacralità della vita si pone alle fondamenta del credo buddhista, il quale vieta anche sperimentazioni di qualsiasi tipo sul corpo umano.
Tra i buddhisti, i monaci, in particolare, si occupano di cura e di accompagnamento dei malati nella fase terminale della vita.