Oltre a permettere di intervenire sui processi naturali di inizio vita, lo sviluppo medico-scientifico ha compiuto enormi progressi nella diagnosi e nella cura di malattie, prolungando
la vita media delle persone.
Va sottolineato che, mentre tale allungamento della vita riguarda tutte le popolazioni del mondo, vi sono ancora differenze significative tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Infatti,
le popolazioni dei Paesi svantaggiati continuano a essere fortemente colpite da patologie che nei Paesi sviluppati sono state debellate da tempo, come la tubercolosi, la malaria e le infezioni
respiratorie. In questi luoghi il progresso scientifico procede più lentamente. Inoltre, l’accesso alle cure è limitato e spesso mancano le condizioni di igiene e i mezzi socioeconomici per
investire sulla prevenzione, quindi la mortalità è più alta.
In Italia, come negli altri Paesi industrializzati, la medicina ha invece reso possibile proseguire la propria vita convivendo con malattie che un tempo avrebbero causato il decesso della
persona, come il diabete o l’asma.
Tuttavia, la scienza ha dei limiti e, talvolta, la morte è inevitabile. Quando una persona con una patologia terminale è costretta a vivere nel dolore, può desiderare di porre fine alla
sua esistenza.
Il termine “eutanasia” indica un’azione che, nelle intenzioni di chi agisce, procura in anticipo la morte di un individuo allo scopo di alleviarne le sofferenze.
Si parla poi di suicidio assistito quando il paziente si rivolge a un medico per la prescrizione di farmaci letali che assumerà in seguito da solo.
Nel trattare le questioni etiche riguardanti l’inizio e la fine della vita, il cristianesimo adotta una concezione “sostanzialista” della persona, secondo cui una persona è tale anche se
non esercita alcune funzioni. Ad essa si contrappone la concezione “funzionalista”, secondo cui la persona esiste se manifesta determinate funzioni.
«Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore; tu lo assisti quando giace ammalato. Io ho detto: “Pietà di me, Signore, guariscimi: contro di te ho peccato”» (Salmo 41, 4-5).
Nell’enciclica del 1995, Evangelium Vitae, Giovanni Paolo II ha condannato il suicidio
e l’eutanasia come gravi violazioni del diritto alla vita e del quinto comandamento che impone di “non uccidere”:
«Ora, il suicidio è sempre moralmente inaccettabile quanto l’omicidio. […] Benché determinati condizionamenti psicologici, culturali e sociali possano portare a compiere un gesto
che contraddice […] l’innata inclinazione di ognuno alla vita, […] il suicidio, sotto il profilo oggettivo, è un atto gravemente immorale, perché comporta il rifiuto dell’amore
verso sé stessi e la rinuncia ai doveri di giustizia e di carità verso il prossimo, verso le varie comunità di cui si fa parte e verso la società nel suo insieme. […] esso costituisce
un rifiuto della sovranità assoluta di Dio sulla vita e sulla morte […]».
Condividere o aiutare a realizzare l’intenzione suicida di un’altra persona per mezzo del suicidio assistito o dell’eutanasia, la cui richiesta non può mai essere giustificata, significa
rendersi assassini e sostituirsi a Dio.
Inoltre, l’enciclica aggiunge che l’eutanasia «deve dirsi una falsa pietà, anzi una preoccupante “perversione” di essa: la vera “compassione”, infatti, rende solidale col dolore altrui,
non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza […]».
Aiutare un individuo a compiere la sua morte, qualunque siano i mezzi e le procedure, non è altro che un modo per alleviare il peso di chi sta bene e deve continuare a farsi carico
dell’assistenza della persona anziana o malata terminale.
Questo approccio riflette una visione utilitaristica dell’esistenza.
«Non gettarmi via nel tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando declinano le mie forze» (Salmo 71, 9).
Piuttosto che interferire con il naturale percorso della vita, la ricerca scientifica dovrebbe investire sul migliorare il benessere della persona. Papa Giovanni Paolo II affermava
«Guarire se possibile, aver cura sempre».
Prendersi cura della persona malata, disabile o a fine vita significa non solo somministrarle terapie, ma anche accompagnarla nel dolore e sostenerla affinché possa affrontare
la sua condizione e trovare speranza.
Nel messaggio del 2017 rivolto ai partecipanti al
«Meeting Regionale Europeo della “World Medical Association” sulle questioni del “fine-vita”,
papa Francesco ha sottolineato l’importanza di garantire alle persone anziane o malate terminali le cure palliative
Fanno riferimento all’insieme di approcci terapeutici, trattamenti medici e interventi di aiuto volti a migliorare la qualità di vita del paziente in fin di vita o affetto da una
patologia terminale incurabile. Queste cure includono le terapie del dolore, l’assistenza domestica, sociale e psicologica e il supporto spirituale.
adeguate e una morte dignitosa. Per raggiungere questo obiettivo,
è fondamentale evitare l’accanimento terapeutico, ovvero l’imposizione di trattamenti gravosi e inutili, nel tentativo di prolungare la vita a ogni costo. È piuttosto preferibile
offrire al paziente supporto emotivo e assistenza, permettendogli di affrontare una morte serena e priva di sofferenza con l’aiuto di terapie del dolore.
Il 30 gennaio 2024, nella «Preghiera per i malati terminali, il Pontefice ha parlato della differenza tra i concetti di “incurabile” e “inguaribile” e dell’importanza di tali cure.
La rinuncia all’accanimento terapeutico è diversa dall’abbandono terapeutico, ossia dalla sospensione di qualsiasi trattamento allo scopo di anticipare la morte. Secondo il Papa,
è necessario, infatti, «aiutare i malati e i morenti a realizzare che non sono isolati né soli, che la loro vita non è un peso»
(Simposio Towards a Narrative of Hope: An International Interfaith Symposium on Palliative Care, 22 maggio 2024):
questo è quanto ribadito nel Piccolo lessico del fine-vita a cura della Pontificia Accademia per la Vita (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2024).
Anche la legge italiana non ammette il diritto al suicidio assistito (possibile invece in alcuni Stati del Nord e del Sud America, in India, in Canada…) o all’eutanasia
(legale nel Benelux),
che nel nostro Paese sono punibili come omicidio. La libertà di autodeterminazione del soggetto rispetto alla propria salute (tutelata dalla Costituzione, art. 32), infatti, va riconosciuta
fintanto che non sia volta alla soppressione di sé o all’eliminazione di componenti essenziali della personalità.
Nel 2018 è però entrata in vigore la Legge 219
sul testamento biologico, in base alla quale, in caso di malattie che costringano a trattamenti permanenti con l’ausilio di macchine o sistemi artificiali (tra cui la nutrizione
e l’idratazione artificiali), possono essere date disposizioni anticipate di trattamento (DAT).
Tramite esse, una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere dichiara le proprie volontà in merito all’accanimento terapeutico, agli accertamenti diagnostici, alle scelte
terapeutiche e ai singoli trattamenti sanitari a cui sottoporsi o meno, «in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni
mediche sulle conseguenze delle sue scelte» (art. 4).
Questa legge non prevede né il suicidio assistito né l’eutanasia, ma solo la sedazione profonda continua (che rientra nelle cure palliative), fino alla perdita di coscienza del paziente,
al quale va garantita ogni terapia per evitare la sofferenza. Non si tratta, perciò, di pratiche che accelerano il decesso.
La legge impone altresì di indicare un fiduciario, cioè una persona di fiducia che faccia le veci del paziente incapace di autodeterminarsi nel rapporto con i medici e le strutture
sanitarie. «L’incarico del fiduciario può essere revocato dal disponente in qualsiasi momento, con le stesse modalità previste per la nomina e senza obbligo di motivazione» (art. 4).
Qualora il fiduciario venisse a mancare, rinunciasse al suo incarico o diventasse a sua volta incapace di autodeterminarsi, le DAT mantengono la loro efficacia. Se si presentasse
l’opportunità di nuove terapie non disponibili nel momento della stesura del testamento biologico, si possono ridiscutere con il fiduciario le disposizioni fornite dal paziente.
Le volontà espresse nelle DAT sono archiviate in una “banca dati” presso il Ministero della salute e il cittadino ha la facoltà, in qualsiasi momento, di revocarle o modificarle.
Si può, inoltre, richiedere l’ordine di non rianimare (DNR), un documento che viene inserito dal medico nella cartella clinica di un soggetto e che informa il personale medico del
divieto di esecuzione della procedura di rianimazione cardiopolmonare (RCP).
È tuttora in corso il dibattito sulla possibilità di esercitare l’obiezione di coscienza da parte di chi considera le disposizioni anticipate una forma mascherata di eutanasia.
Nel documento Risposta al quesito del Ministero della Salute, 2 gennaio 2023
il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) sostiene l’idea che un adeguato percorso di cure palliative
possa essere la risorsa principale per contenere la richiesta di suicidio assistito da parte di pazienti terminali. Inoltre, il documento sottolinea la necessità di informare il
paziente sulle cure palliative, senza che questo si trasformi in un appesantimento burocratico.
È un’unione politica ed economica che comprende il Belgio, i Paesi Bassi e il Lussemburgo. Fondata nel 1944 con la firma di un accordo doganale, ha gettato le basi per una più ampia integrazione europea. La sua attività si occupa di promozione del mercato interno, perseguimento dello sviluppo sostenibile, cooperazione in materia di giustizia e affari interni, coordinamento delle politiche sanitarie. Il Benelux collabora attivamente con altri stati membri dell’UE per ottenere progressi nei suoi ambiti di competenza.
Per la Chiesa cattolica, in linea generale, una legge sul testamento biologico è giusta se:
Poiché le DAT prevedono la sospensione dell’idratazione e della nutrizione, non permettendo così una “morte degna”, la Chiesa cattolica ha espresso dei dubbi rispetto alla Legge 219. Essa chiede, quindi, la possibilità, per i medici, di opporre a queste disposizioni l’obiezione di coscienza: un medico che lo ritenga un atto immorale perché contrario alla propria etica o al proprio credo religioso dovrebbe avere il diritto di opporsi alla richiesta. La Chiesa sottolinea, inoltre, che la società dovrebbe impegnarsi con iniziative concrete per l’umanizzazione del morire, non solo istituendo strutture ospedaliere che forniscano cure, ma anche supportando economicamente le famiglie che assistono malati gravi e quelli in stato vegetativo permanente.