Il diritto alla salute costituisce parte integrante dei diritti umani fondamentali. Ciò è riconosciuto non solo dalla nostra Costituzione (art. 32 «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana
».
), ma anche, a livello internazionale, dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) e dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (1966).
Il diritto di ogni persona a godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale possibili è stato menzionato per la prima volta nel 1946, nella Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il cui Preambolo definisce il concetto di salute come: «uno stato complessivo di benessere fisico, mentale e sociale, e non la mera assenza di malattie o infermità». Tale diritto deve essere riconosciuto a «ogni essere umano, senza distinzione di razza, religione, opinione politica, condizione economica o sociale».
Anche il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite si è soffermato sul tema in questione: nel 2002, è stato istituito il Relatore speciale sul diritto di tutti alle migliori condizioni di salute fisica e mentale, che ha contribuito a chiarirne ulteriormente la natura e le modalità per perseguirlo.
Nel 2008, l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, in collaborazione con l’OMS, ha pubblicato un documento intitolato The right to health sul diritto alla salute in cui, oltre ad essere delineato il quadro giuridico di riferimento nel contesto normativo internazionale in materia di diritti umani, vengono illustrate le principali iniziative e proposte per la sua realizzazione.

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Come hanno recentemente dimostrato i provvedimenti adottati durante la pandemia causata dal Covid-19, volti a limitare la libertà individuale al fine di prevenire la diffusione del virus, nella gerarchia dei diritti, il diritto alla salute è da intendersi come sovraordinato a tutti gli altri princìpi: un valore supremo e, per tale ragione, irrinunciabile.
Tuttavia, l’aspettativa di vita, la salute e l’accesso alla sanità possono variare notevolmente a seconda del Paese in cui si vive e del proprio status sociale. Sono infatti significative le disparità nel sistema sanitario, che esistono non soltanto tra Paesi ricchi e Paesi poveri, ma anche all’interno delle nazioni stesse.
Combattere le disuguaglianze nelle condizioni di salute è quindi una questione di giustizia sociale e di diritti umani. Le cure mediche dovrebbero essere accessibili a tutti in modo equo e ciascuno Stato dovrebbe farsi carico di distribuire i propri servizi sanitari ai cittadini, secondo princìpi di giustizia e uguaglianza.

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Servizio sanitario nazionale

Il Servizio sanitario nazionale (SSN) italiano, istituito con la Legge 833 del 1978, opera ufficialmente secondo i valori dell’universalità (tutti hanno diritto a essere curati e la salute è un bene individuale e collettivo), dell’uguaglianza (tutti devono essere curati, a prescindere dalle condizioni socioeconomiche) e dell’equità (tutti devono avere le stesse opportunità di accesso alle prestazioni sanitarie). Nei suoi primi anni di vita, è stato elogiato per la sua capacità di garantire cure di alta qualità a una vasta popolazione.
Purtroppo, però, il SSN oggi affronta sfide significative, attraversando un rapido declino.
Le cause sono varie: i numerosi tagli di bilancio avvenuti negli ultimi decenni, che hanno ridotto drasticamente le risorse disponibili; l’invecchiamento della popolazione che ha incrementato la domanda di assistenza; la migrazione dei professionisti all’estero, alla ricerca di retribuzioni adeguate e condizioni di lavoro dignitose non garantite dal nostro Paese, con conseguente carenza di personale; le disparità regionali e le estenuanti pratiche burocratiche, a causa delle quali molti cittadini faticano a ottenere cure tempestive e/o appropriate. I tempi delle liste d’attesa per le prestazioni sanitarie sono talmente lunghi da costituire un rischio per la salute e, spesso, i servizi pubblici di sanità mentale esistono solo come servizi “fantasma”.
Quest’ultimo aspetto è dovuto, in parte, anche alla tendenza a sottovalutare l’importanza del benessere psicologico e del corretto funzionamento cognitivo, e al fatto che alcune condizioni cliniche sono socialmente accettate solo per determinate fasce d’età. Ad esempio, l’Azienda Sanitaria Locale (ASL) di Torino mette a disposizione degli adulti Centri specializzati nella diagnosi e nella cura del disturbo da deficit dell’attenzione e dell’iperattività (ADHD), più facilmente diagnosticabile in età scolare. Purtroppo, la lista d’attesa per chi fa richiesta oggi è di almeno due anni e, come per altre patologie, l’ASL in questo caso rappresenta l’unico ente autorizzato a erogare legalmente la diagnosi e la terapia.
Anche ottenere supporti indispensabili per l’autonomia, come la sedia a rotelle o l’assistenza familiare per chi ha persino il 100% di invalidità fisica, appare un’impresa ardua: la lentezza procedurale suggerisce quasi si tratti di beni di lusso.
Di conseguenza, i cittadini che possono permetterselo ricorrono alla sanità privata, creando così un accesso differenziato per cui chi dispone di maggiori risorse economiche riceve cure migliori e più rapide, mentre chi ha reddito basso deve accontentarsi dei servizi pubblici, ricevendo, quando accade, un’assistenza inadeguata e spesso negligente.
Ciò naturalmente comporta un aumento dei prezzi dei servizi privati che, in concomitanza con il disinvestimento nel pubblico, rende la sanità accessibile a un’élite sempre più ristretta di persone.
Il disimpegno verso la sanità si manifesta anche nell’insufficiente investimento nella ricerca medica, che colloca l’Italia in una posizione sempre più arretrata rispetto agli altri Paesi europei, rendendo necessario un significativo aumento dei fondi per raggiungere gli standard continentali.
È importante evidenziare che, per quanto riguarda la spesa sanitaria pubblica, il nostro Paese occupa l’ultima posizione nel G7 (composto da Germania, Francia, Regno Unito, Giappone, Stati Uniti e Canada), con una tendenza al deterioramento che rischia seriamente di compromettere il diritto costituzionale alla salute.

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