Significa agire nel rispetto della capacità di autodeterminazione delle persone. In ambito medico si riconosce al paziente o soggetto sperimentale il diritto di decidere per sé stesso.
Dottori e ricercatori hanno il dovere di garantire che tali decisioni siano prese in modo consapevole. Per questo motivo, quando ci si sottopone a un trial clinico o a trattamenti invasivi,
viene richiesto di firmare il consenso informato (Legge 219),
un documento che informa il paziente sulle procedure a cui sarà sottoposto e sui relativi rischi ed esprime la sua volontà di acconsentire.
Vuol dire agire per fare del bene. L’interesse primario in ambito medico e sperimentale deve essere il benessere del paziente. I trattamenti clinici proposti devono, in ogni momento,
avere come obiettivo quello di promuovere la salute dell’individuo che vi si sottopone, limitando al massimo danni ed effetti collaterali e bilanciando costi e benefici.
Va contro questo principio l’implementazione di terapie e sperimentazioni per semplice ambizione personale o a scopo di lucro.
È complementare al principio di beneficenza e sottolinea l’importanza di non recare danno ai pazienti o soggetti sperimentali. Vi sono circostanze, in medicina, in cui non è così semplice capire se sia meglio dare la priorità al principio di fare del bene o a quello di non fare del male, per questo è opportuno valutare caso per caso. Si pensi, ad esempio, alla chemioterapia e alla radioterapia, trattamenti utilizzati per curare il cancro ma che, tipicamente, hanno conseguenze molto pesanti sul fisico, al punto da poter ridurre la qualità di vita della persona malata più di quanto già faccia la patologia stessa.
Fa riferimento alla necessità di distribuire le risorse in modo da garantire, tra i pazienti, l’equità nei trattamenti. In altre parole, significa che, dal momento che tutti i pazienti hanno pari dignità e diritto di essere curati, per agire in modo etico non dovrebbero esserci “corsie preferenziali” grazie alle quali qualcuno rispetto a qualcun altro, per la stessa patologia, riesce ad accedere a maggiori o migliori possibilità terapeutiche. Per rispettare questo principio, in contesto ospedaliero, in fase di accettazione al Pronto Soccorso, si viene sottoposti al triage, un processo che serve a smistare i casi in entrata per gravità del danno. Nell’ambito delle sperimentazioni cliniche si deve rivolgere particolare attenzione a garantire al gruppo di controllo gli stessi diritti del gruppo sperimentale.
La Chiesa cattolica riconosce l’autonomia della ricerca scientifica, ma è particolarmente attenta a far valere i propri valori morali per evitare che ciò che è reso possibile dal progresso scientifico possa ledere la dignità umana. Per esempio, pratiche come l’aborto, la fecondazione artificiale e l’eutanasia sono contrarie alla morale cattolica, la quale sostiene che:
Dignità deriva dal latino dignus (“meritevole”). Il corrispondente greco áxios (“assioma”) permette di cogliere aspetti altrimenti poco evidenti se ci si ferma
all’etimo latino. In matematica e, in generale, nelle scienze esatte, “assioma” è un’asserzione, una verità evidente che non necessita di dimostrazione. Senza forzature, si può dire
che la dignità si offre come assioma. Essa non ha bisogno di essere dimostrata, è uno status riconosciuto e da riconoscere.
La dignità umana consiste nella condizione esistenziale di essere unici ed irripetibili e di avere la possibilità di autodeterminarsi per “costruirsi” liberamente.
La bioetica cattolica si fonda, dunque, sul concetto di “persona”, termine a cui il cristianesimo attribuisce un significato particolare. Se nella lingua corrente “persona” e “individuo” sono,
infatti, pressoché sinonimi, per i cristiani la “persona umana” è tale perché riceve le caratteristiche che le sono proprie dalla Persona trinitaria che è Dio, essendo l’essere umano creato a
immagine e somiglianza del Creatore.
Come richiama l’enciclica Caritas in Veritate (2009), lo sviluppo integrale della persona è radicato nella cultura dell’amore, fondata sulla missione di Cristo. Progredire significa, quindi,
prendersi cura dell’anima, oltre che del corpo, e realizzare il progetto di Dio.
La riflessione sulla “persona umana” risale ai primi secoli del cristianesimo, con Tertulliano (II-III secolo) e Agostino (IV-V), ai quali dobbiamo la sottolineatura riguardo alla
sua dignità assoluta e alla vita come un valore inviolabile in virtù del legame con le Persone divine.
La necessità di indagare un mistero di tale portata ha indotto i teologi ad analizzare minuziosamente alcuni dei termini e alcuni concetti utili alla riflessione: si giunse, così, alla
definizione di “persona” elaborata dal filosofo Severino Boezio (V-VI secolo): «una sostanza individuale di natura razionale». Tale concetto si applica a Dio, ma anche all’essere umano,
diventando espressione di valori e dignità speciali.
Nel XIII secolo, Tommaso d’Aquino (1225 circa-1274), riprendendo e approfondendo la riflessione di Boezio, definisce la “persona” come «ciò che di più perfetto esista in tutta la realtà,
ovvero il sussistente di natura spirituale».
La natura spirituale è il fondamento della speciale dignità di un essere che qualifichiamo come “persona”, come un “qualcuno” e non come un “qualcosa” (argomento che, tempi recenti, è stato
approfondito dal filosofo tedesco Robert Spaeman (1927-2018).