Oggi, il mondo del lavoro affronta numerose difficoltà: la disoccupazione (aggravatasi in seguito alla crisi economica successiva alla pandemia da Covid-19 e ora in calo), il precariato e lo sfruttamento colpiscono soprattutto i giovani che si affacciano al mercato. Persistono, inoltre, le discriminazioni a svantaggio delle minoranze sociali, come donne, persone con disabilità e comunità straniere, e cresce la consapevolezza dell’impatto che il lavoro umano ha sull’ambiente, con la conseguente promozione di forme lavorative sostenibili. In questo scenario si aggiunge il fenomeno della globalizzazione che, generando delocalizzazione produttiva e concorrenza internazionale, crea nuove opportunità nelle economie emergenti e, al contempo, causa la perdita di posti di lavoro nei Paesi sviluppati, l’aumento della richiesta di competenze specifiche e flessibilità, e l’accentuazione delle disparità salariali e della precarietà.

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La disoccupazione giovanile

In Italia, i giovani adulti devono affrontare un mercato del lavoro particolarmente ostile, con tassi di disoccupazione tra i più alti in Europa e condizioni di accesso al mondo professionale estremamente selettive. Le principali criticità sul tema includono contratti precari e assunzioni a breve termine, che impediscono di raggiungere una reale stabilità economica. Le retribuzioni iniziali sono molto basse, spesso non corrispondenti al livello di istruzione, né adeguate al costo della vita. La laurea, un tempo considerata titolo sufficiente per poter lavorare, non basta più. Inoltre, è sempre più diffusa la paradossale richiesta di esperienza professionale per posizioni di primo impiego o principianti. Questa tendenza, unita all’accanita competizione per i posti di lavoro qualificati, crea un circolo vizioso che favorisce le persone provenienti da famiglie benestanti. Infatti, l'accesso a tali posizioni è spesso subordinato al possesso di un numero sempre maggiore di competenze certificate aggiuntive, la cui acquisizione comporta costi elevati. Tali fenomeni si annoverano tra le cause del ritardo nell’ingresso nel mondo del lavoro per molti giovani, precludendo di fatto l'accesso a determinate carriere a chi proviene da contesti socioeconomici meno favorevoli.
L’indipendenza economica viene così raggiunta in media intorno ai 30-35 anni: tra i valori più tardivi nel mondo occidentale. Ciò comporta una prolungata dipendenza dalle famiglie, a cui conseguono il calo del tasso di natalità e l'invecchiamento della popolazione, oltre all’impossibilità, per i giovani, di prendersi cura economicamente dei membri più anziani della popolazione, che vengono abbandonati a sé stessi.
Un fenomeno particolarmente preoccupante è rappresentato dall'emigrazione annuale di diverse migliaia di giovani laureati, che rappresentano una perdita significativa di capitale umano. Tra le principali motivazioni si riconoscono maggiori opportunità di carriera all'estero, retribuzioni più competitive, ambienti lavorativi meritocratici, possibilità di crescita professionale concrete e condizioni di lavoro dignitose.
Tuttavia, a causa della crescente concorrenza internazionale, delle restrizioni all’immigrazione in alcuni Paesi, della necessità di competenze specifiche e dell’aumento del costo della vita, anche il mercato globale del lavoro è diventato più competitivo.




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Il lavoro minorile

L’obiettivo della piena occupazione è uno degli aspetti del raggiungimento del bene comune di una società, in quanto espressione di buona salute dei suoi fondamentali economici. Per questo motivo, l’Obiettivo 8 dell’Agenda 2030 si propone di affrontare i gravi problemi della disoccupazione giovanile, del diritto al lavoro delle persone con disabilità e della schiavitù che, sebbene illegale in tutto il mondo, persiste in varie forme, spesso subdole e nascoste, come, ad esempio, il lavoro minorile.
Quest’ultimo rappresenta una forma di violenza ancora assai comune: è altissimo il numero di minori costretti a lasciare la scuola per contribuire al bilancio familiare, svolgendo occupazioni pericolose, scarsamente remunerate e che non offrono alcuna possibilità di miglioramento professionale. È il caso drammatico dei tanti bambini che lavorano nelle miniere africane o che passano la giornata nelle discariche alla ricerca di materiali da rivendere.
Anche nei Paesi avanzati sono ancora numerosi i casi di minori (soprattutto bambine e ragazze) che non hanno diritto all’istruzione perché devono occuparsi di incombenze domestiche. È una piaga difficile da debellare, più volte denunciata dalla Chiesa, per cui non è sufficiente proibire il lavoro minorile: si tratta piuttosto di rimuoverne le cause. Occorre, innanzitutto, che le politiche economiche e sociali siano tese a promuovere l’istruzione, abbassandone i costi, e a superare la povertà, diffusa in gran parte del mondo e in aumento in Italia, promuovendo condizioni di impiego dignitose e stabili: una delle maggiori sfide per quasi tutte le economie.
In Italia, il lavoro minorile è regolato da una serie di normative volte a salvaguardare il giovane, la sua salute e la sua istruzione. La Legge 977/1967 specifica i requisiti d’età (non meno di 15 anni) e di istruzione (aver terminato la scuola dell’obbligo) che il minore deve soddisfare per poter lavorare. Inoltre, definisce limiti d’orario, condizioni di lavoro e frequenza del riposo. La Legge 148/2000 proibisce le forme peggiori di lavoro minorile. La Legge 296/2006 insiste sull’obbligatorietà del «conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età». La Costituzione difende inoltre il diritto alle parità di retribuzione tra adulto e minore. A sostegno delle norme italiane, si affianca la Convenzione ONU sui Diritti dell'Infanzia, approvata il 20 novembre 1989, che tutela soprattutto il diritto al benessere e allo sviluppo del bambino.

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Le nuove tecnologie

La tutela del lavoro rappresenta una delle sfide principali della società contemporanea anche perché viviamo in un’epoca di grandi innovazioni tecnologiche, che richiedono una costante capacità di adattamento al cambiamento. Negli ultimi anni, ad esempio, le Intelligenze Artificiali (IA) hanno subìto un rapido e significativo sviluppo, rappresentando sia un rischio rispetto alla disponibilità di posti di lavoro, sia un’opportunità per crearne di nuovi, trasformare quelli esistenti e migliorare le condizioni di lavoro. Si potrebbe auspicare, ad esempio, di delegare alle IA le mansioni più ripetitive e meno qualificate, con la prospettiva di una riduzione dell’orario lavorativo giornaliero, che restituirebbe alle persone il tempo per coltivare sé stesse e stare con le proprie famiglie. Questo scenario implicherebbe necessariamente una riqualificazione dei lavoratori e una profonda riorganizzazione del sistema economico e del mercato del lavoro stesso. Tuttavia, al momento, non pare esserci una reazione sufficientemente sollecita a tale trasformazione.
Nonostante i dati disponibili non siano ancora sufficienti a formulare una valutazione esatta dell’impatto delle IA sul contesto occupazionale, si può già osservare una crescente diffusione di queste tecnologie nelle imprese, poiché consentono di risparmiare e di incrementare la produttività, automatizzando compiti e processi. Mancano, però, alternative di impiego per i lavoratori rimpiazzati e si riscontra uno scarso investimento nella loro formazione.
Diventa pertanto cruciale che i sistemi educativi sappiano anticipare gli scenari futuri, preparando adeguatamente le persone alle nuove realtà professionali.
La situazione italiana attuale appare, purtroppo, lontana da questo obiettivo. I percorsi scolastici e accademici proposti dal nostro Paese mostrano, infatti, diversi limiti strutturali, tra cui ineguaglianza territoriale, disallineamento tra istruzione ed esigenze di mercato, scarsa integrazione tra università e mondo aziendale, insufficiente (se non del tutto assente) investimento su competenze digitali e tecnologiche emergenti, nonché vera e propria obsolescenza di alcuni percorsi formativi rispetto alle dinamiche e alle conoscenze attuali.